Oggi sono andato alla vecchia Fonderia Tommasi a rendere l'ultimo omaggio a Marcello. Da anni si rimandava continuamente l'appuntamento per visitare il suo studio, anche quello di Firenze, e per anni abbiamo sempre pensato che ci sarebbe stato tempo. Ed invece ora di tempo non ce n'è più.
Sono entrato dal retro, dalla porta sul cortile interno, e subito sono rimasto folgorato. Al centro della stanza, su due casse rovesciate, c'era il feretro tutto circondato da dozzine e dozzine di sculture di ogni dimensione ed in ogni materiale. Occhi di creta, di bronzo, di cera, di gesso che - increduli - assistevano alla scena. Il busto di sua moglie lo guardava dall'alto di una mensola, quello del padre lo fissava dall'angolo della stanza, gli occhi del fratello Riccardo, da un autoritratto, lo miravano commossi, ed un gesso di suo fratello Luigi bambino lo scrutava quasi indispettito. E poi santi, papi, madonne, capi di stato, illustri sconosciuti, tutti concentrati al centro della scena a guardare le spoglie di quello scultore che nel tempo li aveva modellati, fusi, patinati, dipinti, scolpiti.
Roba da non credere. Una potenza di sguardi e di emozioni così forte che mi ha spinto ad andare via, preda della più forte emozione. Tutte le sue sculture, e quelle del padre, ed i dipinti del fratello, ed i bozzetti degli allievi erano lì a dargli l'addio. E noi non potevamo, spettatori degli spettatori, che partecipare in tono ancora minore alla scena. Che non eravamo, davvero, nessuno.
Mi è tornato alla mente quel dipinto di Giannino Marchig, La morte di un autore, nel quale si ritrae un vecchio drammaturgo ormai morto circondato da tutti i personaggi ai quali aveva dato vita con la sua penna.
E' stato, insomma, un ultimo addio al novecento. In pieno stile.
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