martedì 30 settembre 2008

Nota

Questo blogspot nasconde una insidia. Il giorno 26 ho scritto i vari post su Moby Dick e li ho salvati come bozza con l'intenzione di snocciolarli via via nei vari giorni a seguire. Ora mi accorgo che quello di stamattina - dal titolo "lo stuoiaiolo" - me l'ha sì pubblicato, ma come se l'avessi fatto in data 26, giorno in cui lo sbozzai.
La faccenda non va bene. Per nulla. Ormai lo lascio per non creare ulteriori casini, ma non sono contento. Anche perché ho altre tre o quattro bozze che voglio riservarmi per il futuro e non desidero affatto che tornino indietro nel tempo. Se avessi, ad esempio, deciso di scrivere oggi un post natalizio ... il 25 dicembre me lo troverei pubblicato ad inizio autunno.

Ora, rimedierò copiando il testo delle bozze e rincollandolo in una nuova creazione. Ma si sappia, anche a vostro maggior beneficio, che la cosa non va bene.

Io mi domando e dico

La vostra tenacia nel trattenere i commenti, persino innanzi ad una solenne descrizione della morte, è tanto encomiabile quanto irritante. Sarò immodesto, ma ritengo altamente improbabile che sia nella poesia che nella prosa degli ultimi due giorni io sia stato così pallido da non meritare un callido commento.
Possibile che non sia riuscito neppure a stiepidire il vostro algido cuore quel tanto che basta per stimolarvi a lasciarne testimonianza ?

lunedì 29 settembre 2008

La morte di un autore

Oggi sono andato alla vecchia Fonderia Tommasi a rendere l'ultimo omaggio a Marcello. Da anni si rimandava continuamente l'appuntamento per  visitare il suo studio, anche quello di Firenze, e per anni abbiamo sempre pensato che ci sarebbe stato tempo. Ed invece ora di tempo non ce n'è più.
Sono entrato dal retro, dalla porta sul cortile interno, e subito sono rimasto folgorato. Al centro della stanza, su due casse rovesciate, c'era il feretro tutto circondato da dozzine e dozzine di sculture di ogni dimensione ed in ogni materiale. Occhi di creta, di bronzo, di cera, di gesso che - increduli - assistevano alla scena. Il busto di sua moglie lo guardava dall'alto di una mensola, quello del padre lo fissava dall'angolo della stanza, gli occhi del fratello Riccardo, da un autoritratto, lo miravano commossi, ed un gesso di suo fratello Luigi bambino lo scrutava quasi indispettito. E poi santi, papi, madonne, capi di stato, illustri sconosciuti, tutti concentrati al centro della scena a guardare le spoglie di quello scultore che nel tempo li aveva modellati, fusi, patinati, dipinti, scolpiti.
Roba da non credere. Una potenza di sguardi e di emozioni così forte che mi ha spinto ad andare via, preda della più forte emozione.  Tutte le sue sculture, e quelle del padre, ed i dipinti del fratello, ed i bozzetti degli allievi erano lì a dargli l'addio. E noi non potevamo, spettatori degli spettatori, che partecipare in tono ancora minore alla scena. Che non eravamo, davvero, nessuno.
Mi è tornato alla mente quel dipinto di Giannino Marchig, La morte di un autore, nel quale si ritrae un vecchio drammaturgo ormai morto circondato da tutti i personaggi ai quali aveva dato vita con la sua penna.

E' stato, insomma, un ultimo addio al novecento. In pieno stile.

domenica 28 settembre 2008

In morte di Marcello Tommasi


Saputa in un istante la notizia
con gli occhi a terra e con il capo chino
col cuore in petto gonfio di mestizia
pianse sgomento Tin di Camaino

Affranti Stagio Stagi e Donatello
in lagrime persino il gran Leonardo
Michelangiolo (quasi suo fratello)
aveva perduto il lume dello sguardo

Attonito e percosso fu il Bernini
immobile è restato il Giambologna
quasi felici di essergli vicini
provarono dolore e pur vergogna

Di lutto or si rivesta Pietrasanta
stendendo alle finestre neri rasi
e Firenze e l'Italia tutta quanta
che oggi è morto l'ultimo Tommasi

venerdì 26 settembre 2008

Lo stuoiaiolo

Bene. Lo spettacolo deve continuare. Torniamo alla faccenda di Moby Dick.

A Pisa, a fianco della Torre del Campano (che coi suoi rintocchi esorta gli studenti allo studio ed alla disciplina*) c'è un negozio che ha in vetrina la scritta "cuoiaio". La parola ha il pregio di infilare il maggior numero di vocali consecutive. UOIAIO (6).
Pensavo fosse l'unica. Ed invece eccoti lo "stuoiaiolo" che eguaglia il primato.

Melville, H., Moby Dick, Adelphi, Milano, 1994.

[Cap. XLVII, Lo Stuioiaiolo, pag. 244]

* A mente, mi pare che una epigrafe sul fianco della torre, reciti così.

Ahab

Si continua il virtuoso esercizio con questa citazione. Volevo usarla come risposta al commento sull'esondazione del Nilo (grazie, tra l'altro), ma è stato meglio serbarla ad oggi.

[Per inciso: quello faceva incidere sulle scatole di fiammiferi il motto "Coperto, il serba"].

Quel certo sultanismo del suo cervello che sarebbe altrimenti rimasto in gran parte inespresso, quello stesso sultanismo s'inarcava, attraverso queste forme, in una irresistibile dittatura. Poiché qualunque sia la superiorità intellettuale di un uomo, essa non può mai assumere una supremazia pratica e utile sugli altri senza l'aiuto di qualche artificio e schermo, che in se stesso sarà sempre più o meno basso e meschino.

Melville, H., Moby Dick, Adelphi, Milano, 1994.

[Cap. XXXIII, Lo Specksynder, pag. 177]

Flask

Inizio con questo post la dimostrazione che nel gigantesco romanzo di Melville c'è pane per tutti i denti. Persino per le mie misere categorie del blog.
La prima, Déjeuner célèbres, potrebbe essere meglio rappresentata dal Capitolo V, che si intitola "Colazione". Ma sarebbe troppo scontato. Per questo ho scelto un brano diverso, che in coda strappa un sorriso. Ho già pronte le altre prove a sostegno della mia tesi; sono salvate come bozze e pronte per la pubblicazione. Ma le lascio per i giorni prossimi, quando vi scriverò dalla riva del mare.


Flask era l'ultimo a scendere a pranzo e Flask era il primo a risalire. Pensate! Poiché così il pranzo di Flask veniva malamente strozzato nel tempo. Starbuck e Stubb, tutti e due avevano il vantaggio dell'inizio e ancora il privilegio di indugiare in coda. E se poi succede che Stubb, soltanto di poco più in alto che Flask, abbia poco appetito e mostri presto sintomi che sta per terminare, allora Flask deve darsi d'attorno, non riesce quel giorno a trangugiare più di tre bocconi, poiché è contro la sacra usanza che Stubb preceda Flask in coperta. Fu per questo che Flask ammise una volta in privato che, da quando era salito alla dignità di ufficiale, da allora non aveva mai saputo che cosa fosse non essere più o meno affamato. Poichè quel che mangiava serviva non tanto a cavargli la fame quanto a conservargliela immortale.

Melville, H., Moby Dick, Adelphi, Milano, 1994.

[Cap. XXXIV, Della tavola nella cabina, pag. 181]

אַחְאָב,

Fu nell'estate dell'8 che elessi a vangelo apocrifo l'immortale capolavoro di tutte le letterature: Moby Dick. Ciò in seguito ad una lettura pubblica alla quale ebbi la fortuna di assistere a Firenze, nel chiostro del Museo Marino Marini (l'antica basilica di San Pancrazio) invaso per l'occasione da una balena in stoffa lunga almeno quindici metri. Lì ascoltai, rimanendone folgorato, un brano dal capitolo XLII nel quale si sovverte la nostra percezione del colore bianco.
Moby Dick, romanzo della premonizione, è talmente ricco, pregno, carico, gonfio, pieno, turgido di contenuti e significati, che da solo basta per fornire un post per ognuna delle categorie da me utilizzate.

Ne volete una prova ?

Melville, H., Moby Dick o La Balena, Trad. it. di Cesare Pavese, Frassinelli, Torino, 1942.

Spleen

Una parola di sentito ringraziamento a tutti quei lettori che hanno risposto con repentina amicizia al mio pubblico annuncio di inettitudine. Chi seguiterà a leggere con isòcrona regolarità questo blog non si stupisca - in futuro - dei miei eccessi di bile. Trattasi di improvvide e periodiche esondazioni che lasciano il tempo che trovano.
Se era bello, resta bello. Se era brutto, resta brutto.

giovedì 25 settembre 2008

Wilhelm, John e Joshua

Un certo numero di lettori mi hanno - privatamente e delicatamente - fatto sapere che non gradiscono che si scriva "Federico Nietzsche".
Anzi, che non si aspettavano da me la traduzione italiana di un nome proprio straniero. Nasci Friedrich e tale rimani in ogni dove.
La questione mi ricorda il divertente Frankenstein - Frankenstin del celebre Mel Brooks ed ancor più mi ricorda una nota di Umberto Eco sulla medesima questione. Si chiedeva, per ridere: se noi italiani chiamiamo Spinoza col nome proprio di Benedetto, allora gli ebrei olandesi chiameranno Baruch il nostro Croce ? 
E così via, aggiungo io, con Wilhelm Marconi, John Pascoli e Joshua Carducci.

Io ho scritto Federico, principalmente, perché mi diverte. Ha un gusto rétro, e per quello mi piace.

mercoledì 24 settembre 2008

Intra me maneo

Limite

Sillabazione/Fonetica [lì - mi - te]
Etimologia: Dal lat. limi°te(m)
Definizione: s.m. [...] 

3. (fig.) punto estremo a cui può arrivare qualcosa.
4. (fig.) termine che non si può o non si deve superare.

Ecco, il mio limite (nel senso 3) è sempre stato quello di non accorgermi d'averlo (nel senso 4).
Eccedo, varco, supero, travalico, debordo, inondo, sconfino, esagero, stròppio.

Mi scuso, pubblicamente ed una volta per tutte. Cercherò di rimanere dentro di me il più possibile.

Silenzio, fin che parli.
Clausura, fin che s'apra.

Décadence

Gabriele d'Annunzio è stato usato dal fascismo a proprio tornaconto anche se le sue posizioni politiche non erano affatto aderenti a tale movimento politico. Frasi, motti, miti e leggende del Comandante han servito da fondamento della retorica fascista, anche se erano nate per motivi del tutto diversi. La stessa sorte è capitata ai pensieri di Federico Nietzsche che, a sua volta, sono stati presi in prestito dal partito nazista per motivi di propaganda e di dottrina.
Si legga, per farsene una ragione, il seguente paragrafo:

Considerato psicologicamente, il popolo ebreo è un popolo dalla tenacissima forza vitale, il quale, una volta posto a vivere in condizioni impossibili, deliberatamente, spinto dalla più profonda saggezza dell'autoconservazione, prende le parti di tutti gli istinti della décadence, non in quanto è dominato da essi, ma poiché intuisce in loro una potenza con cui si può avere la meglio contro "il mondo". Gli ebrei sono l'opposto di tutti i décadents: hanno dovuto rappresentarli fino a dare l'illusione di esserlo.

Nietzsche, F., Der Antichrist, 24, 190

Mi pare una considerazione da sottoscrivere pienamente.

martedì 23 settembre 2008

Ta - Da

Il Gigante e il Mago

Quando la messa è finita
quando si incaglia la vita
quando soffia forte il vento
quando il lume sembra spento
Si fa scuro tutto attorno
e non c'è niente del gran giorno
puoi pregare di incontrare
il Gigante e il Mago

Quando è finito il ballo
e non ci sono più parole
il telefono è staccato
quando il treno è già passato
quando non c'è più riscossa
quando il freddo è nelle ossa
solo allora puoi trovare
il Gigante e il Mago


Ta - Da ! Capossela è tornato, più grande che mai.

Capossela. V., Da solo, Warner Music, 2008.

Nach Canossa gehen

Istituto Canossa Forte dei Marmi

Gli americani mi chiamerebbero deltiologist. Gli italiani, genericamente, collezionista. La mia mamma: perditempo.
Da qualche tempo raccolgo cartoline di Forte dei Marmi e, con alterne fortune, ho piano piano messo assieme una serie variegata e di un certo pregio. L'idea è quella di pubblicarle in un volumetto che riproduca le migliori assieme a commenti salaci miei e del mio amico Fabio.

Quella che vedete riprodotta sopra è a me particolarmente cara. Ritrae il giardino della mia infanzia dove ho trascorso i turbolenti anni d'asilo e gli scavezzati studi elementari. E' dove ho ricevuto i più indelebili imprinting educativi, dove ho imparato a non scrivere mai con la penna rossa (se non le parole "Problema - Risolvo - Rispondo"), dove ho imparato a non zufolare, dove mi hanno insegnato ad allacciarmi le scarpe, dove ho alzato la gonnella alla Marina (cosa che ora avrei orrore a ripetere), dove ho mangiato le polpette più buone del mondo (le mie madeleinette), dove - e qui mi impongo di finire l'elenco - ho avuto il santino di Bakhita.

Per questi, e per altri motivi, andare a Canossa ha per me un significato ulteriore.



lunedì 22 settembre 2008

Fànfole

La famiglia Maraini ha vocazione artistica da lunga data. Antonio Maraini è stato un vigoroso scultore del novecento, con al suo attivo la direzione - se non erro - della biennale di Venezia e la realizzazione della nuova scala d'accesso ai Musei Vaticani.
Dacia Maraini, nepote del precedente, è nota scrittrice contemporanea. Nel mezzo ci sta Fosco Maraini, caparbio e tenace orientalista ed etnologo. Pur di non giurare fedeltà al fascismo mi pare che, chiuso in un campo di concentramento in Giappone, si fece tagliare un dito.

[Non me lo ricordavo bene, ma ho controllato su Wikipedia. E' vero].

Ricordo invece una poesia straordinaria di Fosco, che si trova all'interno di un libro ancor più straordinario: "La Gnosi delle Fànfole".
Si tratta di un componimento metasemantico, ossia di un testo che sta al di là del significato. Ma, come leggerete, dice molto ma molto di più.


Ci son dei giorni smègi e lombidiòsi
col cielo d’agro e un fonzero gongruto
Ci son meriggi gnàlidi e budriosi
che plogidan sul mondo infragelluto.

Ma oggi e’ un giorno a zimpagi e zirlecchi
un giorno tutto gnacchi e timparlini,
le nuvole buzillano, i bernecchi
luderchiano coi fèrnagi tra i pini.

E’ un giorno per le vànvere, un festicchio
un giorno carmidioso e prodigiero
è il giorno a cantilegi, ad urlapicchio,
in cui m’hai detto "t’amo per davvero".



Tant'è.

Maraini, F., Le Fanfole, De Donato, Bari, 1966
Maraini, F., Gnòsi delle Fanfole, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 1994.

Oggiotto

Se c'è una cosa che mi dà noia è sentire in televisione la frase "settimana prossima" senza l'articolo determinativo.
Ancora una volta reclamo che della questione se n'è occupata la Crusca, senza peraltro che questo abbia risolto il problema. D'accordo che la lingua è in evoluzione, d'accordo che le grammatiche ed i dizionari si devono limitare a registrare l'uso della lingua fatta dal popolo che la parla, d'accordo tutto, ma fino ad un certo punto.
E' bene sapere che si scrive, e si dice: "la prossima settimana" o "la settimana prossima". Con l'articolo davanti.

In alternativa può usarsi la splendida locuzione che dà il titolo a questo post. Significa, per i toscani, "otto giorni da oggi". Ossia: la prossima settimana.

Par - naso

Aggiungo alla citazione di Scipione Ammirato (v. supra 15 settembre 2008) una poesia del pisano Gio. Dom. Anguillesi.

Mi diverte la descrizione del Lago di Porta prima della bonifica ed anche il fatto che torni l'idea del Salto della Cervia come finisterre della civiltà.

Al Forte detto
Il Salto della Cervia


Rocca insalubre, che solinga e mesta
Siedi al piè di scoscesa alpe infeconda,
E di Marte stranier dall'ira infesta
L'occidental difendi etrusca sponda:

So ben che il raro abitator detesta
L'impuro aere letal che ti circonda,
E l'assidua cicala, e la molesta
Rana gracchiante nella fetid'onda.

Ma che? qual mai vezzosa ninfa o Dea
Per le scabre tue mura i passi or muove,
E a me l'occhio digiun molce e ricrea?

Salve, o Rocca felice! In ogni dove
Dolce tu a me sarai gradita idea;
Per te l'Olimpo or non invidio a Giove.


Anguillesi, G.D., Poesie di Gio. Domenico Anguillesi / Pisano, Dalla nuova tipografia, Pisa, 1807.

domenica 21 settembre 2008

Si sveglia la città con le campane

Oggi la giornata è stata difficile. Lunga e difficile. Quistioni, finte dormite, quistioni. La mì sorella che mi telefona dalla Spagna e mi dice che è finita in un campo ROM, la casa in mezza rivoluzione con arrivi e partenze, la bimba che s'è infilata in un occhio un fùzzico di legno e che c'è toccato di portarla al pronto soccorso oftalmico...

[Per inciso: conosco una persona che non ha un mal di testa come tutti, il suo è un mal di testa "oftalmico"]

Volevo mettere a posto delle carte, ma non c'è stato verso. Poi finalmente, verso sera ...

[Per inciso: la gallina nera si rinfranca sulla sera]

ci siamo chiariti. Mia autocritica: ammissione di scarsa sensibilità, di egoismo, di chiusura mentale, di proiettare una immagine splendida splendente diversa dalla realtà. Insomma, la vecchia storia del lato B. Che, per l'amor di Dio, è verissima.

Del resto c'è un lato B. Che per fortuna a voi non tocca.

sabato 20 settembre 2008

Frynsf Agyusd Xqpekt

Una volta erano errori di battitura. Ora sono stringhe di controllo da usare per poter accedere a determinate pagine web.
Per postare un commento, cercare il CAP di un paese o scaricare un file occorre perdere gli occhi per capire - da una serie di caratteri deformati in lungo od in largo - cosa scrivere nell'apposita casellina.
Chi l'avrebbe mai detto ?

P.S. Si consideri la vanità di questo mio post rispetto all'abisso di profondità raggiunto oggi da Daniuccia.

Lessico famigliare

Biscotto [bi-scòt-to]. s.m. Piccola pasta dolce a base di farina, zucchero, uova e vari altri ingredienti, a seconda delle forme e dei tipi, cotta a lungo in forno perché risulti asciutta e croccante.

Una volta si chiamava pòti [pò - ti] , da ieri gudè [gu - dè].

venerdì 19 settembre 2008

Inf., XV, 61.

[Avviso: questo è un post inutilmente polemico, forse dovreste smettere di leggerlo]

Allora, mettiamola così. Io sono nato in un piccolo paese di provincia, where everybody knows your name, e sono sempre stato abituato ad un rapporto di piena cordialità e di fattiva collaborazione con i negozianti della mia zona. Massimamente con quelli attorno a casa od al luogo di lavoro. Basti pensare che, proprio ieri, qui a F*** ho incontrato le nipoti della nostra storica tabaccaia (molto più di una tabaccaia, in verità), le quali mi hanno abbracciato e baciato come fossi un fratello.

Bene. Detto questo, va saputo - od anche no, se vi pare - che i negozianti attorno alla mia sede lavorativa qui in città sono, malheureusement, il massimo della scortesia, il vertice dell'ignoranza, l'apoteosi del disservizio.

Esempio 1

L'altra mattina vado al sòlito bar, dove entrerò almeno tre o quattro volte la settimana e dove ancora non sanno come prendo il caffè; mi accorgo che il cassiere mi rende cinquanta centesimi in più del dovuto e prontamente glie li restituisco. Quello li piglia senza nemmeno ringraziare, e passa al cliente successivo. Poco male.

[Oh, ve l'ho detto che è un post polemico, se continuate a leggere sono cavoli vostri]

La sera, col cellulare scarico, rientro nello stesso bar per fare una telefonata. Mi dirigo al telefono in fondo alla stanza e noto che accetta solo tessere telefoniche. Allora chiedo al cassiere, con i soldi già in mano, la cortesia di farmi fare una chiamata urbana, offrendomi naturalmente di pagarla.

Io: "Per piacere, mi farebbe fare una telefonata urbana ? Glie la pago, naturalmente".
Lui: "Vendiamo le schede telefoniche da tre euro".
Io: "Non ne dubito, ma a me non serve. Devo solo fare una chiamata urbana. Glie la pago, eh".
Lui: "Vendiamo le schede telefoniche da tre euro".
Io: "Ho capito, ma è che ho il telefonino scarico. Non mi serve una scheda. Mi basta fare una telefonata breve in città".
Lui: "Vendiamo le schede telefoniche da tre euro".
Io: "Bene, grazie. Lei è molto gentile (crepa, bastardo!), arrivederci".

Esempio 2
Qui al portone a fianco c'è una mesticheria dove compriamo spesso e di tutto. Pile, chiodi, spray sbloccanti, lampadine, multiprese ... L'altro giorno sono entrato ed ho chiesto due pile AA.

[Davvero, se continuate nella lettura poi non lamentatevi, io vi ho avvertiti]

Io: "Per piacere, mi darebbe due pile stilo ?"
Lei: "Vendiamo pacchetti da quattro".
Io: "Non ne dubito, ma a me me ne bastano due."
Lei: "Vendiamo pacchetti da quattro".
Io: "Ho capito, ma l'orologio mio ne tiene due e durano tre anni. Quattro sono troppe".
Lei: "Vendiamo pacchetti da quattro".
Io: "Bene, grazie. Lei è molto gentile (crepa, bastarda!), arrivederci".

Esempio 3

Sempre la meschina mestichina. Vado a comprare della carta vetrata e chiedo la più fine.

Io: "Questa forse va bene. Me ne darebbe un pezzettino per provarla su questo bastone?"
Lei "La vendo a metri. Minimo uno".
Io: "Non ne dubito, ma posso provarne un pezzettino per vedere se va bene ?"
Lei: "La vendo a metri. Minimo uno".
Io: "Ho capito, ma prima di prenderne un metro vorrei provarla se va bene. Basta un'unghia".
Lei: "La vendo a metri. Minimo uno".
Io: "Bene grazie. Lei è molto gentile (crepa, bastarda!), arrivederci".


Ora, quello che mi manda fuori di testa non è tanto che non mi hanno accontentato (so di essere un rompiglioni), quanto che abbiano ripetuto la stessa frase per tre volte rifiutandosi di entrare in dialogo. Non hanno respinto solo la richiesta, hanno respinto persino il concetto stesso di motivare il rifiuto trincerandosi dietro una frase ripetuta all'infinito.
Noi versiliesi siamo famosi per essere scostanti, ma qui si esagera. Qui si varca ogni limite dell'umana tollerabilità, qui si perde persino di vista il più elementare livello di customer service. Non esiste service e, da come rispondono, neppure il customer.

[Oh, vedo che continuate a leggere, allora davvero volete annoiarvi con le mie bischerate]

Tanto per dare un geotag all'evento, sappiate che sia il barista che la meschina si affacciano su una piazza di F*** nel mezzo della quale troneggia una colonna di marmo mischio di Seravezza. Detta piazza, e persino il bar, sono stati immortalati nel primo romanzo di Magdalen Nabb, dove esordisce il commissario Guarnaccia. (Questa indicazione bibliografica la devo al mio amico Philip W., che mi ha regalato il libro).

Nabb, M., Death of an Englishman, Collins, London, 1981

[Eh, ma proprio tutto tutto l'avete voluto leggere questo post].

Rime e ritmi

Ora, pur non volendola fare tanto lunga con le preoccupazioni sul versante economico e finanziario - del resto non ho le capacità per capire sino in fondo la situazione, nè per prevederne gli sviluppi - in questi giorni ho riflettuto sugli albori dell'economia ed ho ripensato ai primissimi modelli contrattuali. L'agricoltura, la pastorizia, il baratto ... e tutte quelle storielle che tra poco Madre A*** inizierà a raccontare a mia figlia.

[Per incisio: l'altra sera, mentre il rubinetto versava acqua nel lavandino ha esortato a chiuderlo dicendo "Mamma, l'acqua è un bene prezioso, non va sprecata". Segno che è già iniziato il lavaggio del cervello].

Ma insomma... ripensando a quei càrdini che hanno retto la nostra economia per centinaia di anni, (tanto da esser tradotti persino in opere d'arte a perenne istruzione e monito degli uomini d'ogni epoca; si pensi alle formelle attorno al campanile di Giotto) vorrei richiamare alla vostra attenzione l'importanza dei ritmi delle stagioni quale fondamento per un modello economico più sano e più solido, sotto ogni punto di vista.

Di seguito riporto quindi una antica e fortunata composizione in rima scritta in omaggio all'avvicendarsi dei mesi e dei lavori nei campi.

Poto, ligna cremo, de vite superflua demo
do gramen gratum, mihi flos servit, mihi pratum
spicas declino, messes meto, vina propino
semen humi jacto, mihi pasco sues, mihi macto.


P.S. Rileggendo questo post temo di essere stato oscuro. Accolgo perciò i vostri commenti, e le eventuali richieste di chiarificazioni, con particolare benevolenza.

giovedì 18 settembre 2008

Naufragio su una bella spiaggia

I vari tentativi di riconoscimento da parte di un computer del linguaggio parlato sono sempre naufragati. Tanto che si osservava come la frase "Recognize Speech" venisse spesso traslitterata in "Wreck on nice beach".
Proprio oggi, visitando i Google Labs, mi sono imbattuto nella loro nuova tecnologia di riconoscimento vocale.
Si offre la ricerca libera, nei messaggi dei politici americani, di qualsiasi stringa ti testo.
Ho provato, campanilisticamente, con "Italy" ed ho trovato questo:

http://labs.google.com/gaudi?q=italy&start=0&num=10&longId=2742540047271914794

La cosa straordinaria non è tanto "Toronto pulling Italy", ma la vera e propria disintegrazione di "Concetta Rossi".

Lipogrammi

Dicesi lipogramma un testo avente senso compiuto nel quale non compaiono una o più lettere dell'alfabeto. Se il pangramma (v. supra 16 settembre 2008) richiedeva la presenza di tutto l'alfabeto, e quindi si pregiava della brevità, il lipogramma impone che si scriva senza mai usare uno o più caratteri e quindi ha più valore tanto più è lungo.
Chi accarezzi l'idea di battere il record, sappia che esiste un romanzo - La disparition - nel quale non compare mai la vocale "e".
Ora, si può dire che - almeno fin'ora - questo post è un lipogramma in w, x ed y, ma la cosa non sarebbe divertente. E' più stimolante, come esercizio, provare a riscrivere la storia di Pinocchio senza la "i".

Solo così, infatti, "Pinocchio che dice le bugie alla fatina dai capelli turchini" può diventare "un pupazzo che mente alla maghetta dalle trecce cerulee".


Perec, G., La disparition, Denoël, Paris, 1969.
Perec, G., La scomparsa, Trad. it. di Falchetta, P., Guida editore, Napoli, 2007.

mercoledì 17 settembre 2008

Art. 1552

La mia advisor dice che "... ci sarà sempre qualcuno che vuole scambiare qualcosa".
La frase, pur riportando alla mente una economia da baratto, in qualche modo mi rassicura.

Déchéance

In questi giorni di umore bilioso, funestati da preoccupanti prime pagine, tento di nuotare controcorrente con un post che ha l'intenzione di mettervi di buonumore.

Chi si chieda cosa voglia dire "scambiare la vita con la letteratura, e viceversa" e quale sia la genesi di molte mie idee peregrine, non ha che da seguitare nella lettura.

La reputazione che s’acquistò di eccentrico, la corroborò vestendosi di velluto bianco, sfoggiando panciotti ricamati come piviali, inserendo a mo’ di cravatta nello scollo della camicia un mazzo di violette di Parma, imbandendo ai letterati pranzi che suscitavano larga eco. Rinnovando tra l’altro una stramberia registrata nelle cronache del XVIII secolo, inscenò un pranzo a lutto per commemorare il più futile degli infortuni.
Nella sala da pranzo addobbata in nero, che dava sul giardino trasformato per l’occasione – polvere di carbone cospargeva ora i viali, la piccola vasca, chiusa adesso da un orlo di basalto, ondeggiava in inchiostro: pini e cipressi mascheravano i boschetti – il pranzo era stato imbandito su una tovaglia nera, guarnita di cestelli di viole e di scabbiose, rischiarata da candelabri lingueggianti di fiamme verdi e da lucerne in cui ardevano ceri.
Mentre un’orchestra invisibile faceva udire marce funebri, servivano in tavola negre ignude coi piedi in babbucce di foggia sacra, calzate di tessuto d’argento cosparso di lagrime.
In piatti orlati di nero, era stata servita zuppa di testuggine; con pane di segala russa, olive mature di Turchia, caviale, bottarga di muggine, s’eran poi avvicendate salsicce affumicate di Francoforte, caccia in salsa color tra di liquirizia e lucido da scarpe; un passato di tartufi; quindi creme ambrate di cioccolato, bodino
(sic) all’inglese, pesche, noci, sapa, more e ciliegie acquaiole. In bicchieri scuri s’eran bevuti vini della Limagne e del Roussillon; del Tenedo, del Val Peñas e del Porto; gustato, dopo il caffè e l’acquavite di mallo, del kwas, del porter e dello stout.
La cerimonia commemorava una panne di virilità; e le lettere d’invito somigliavano tipograficamente a partecipazioni di morte.

Huysmans, J.K., Controcorrente, Gentile Editore, Milano, 1944.

P.S. Non vi sfugga la frase finale, dalla quale si impara che "panne" è femminile. Cosa che, non so voi, ma io non sapevo.

martedì 16 settembre 2008

A grande richiesta

L'assoluta totalità dei miei lettori mi chiede un esempio di post su luci ed ombre così che venga completata la serie di categorie che a suo tempo promisi di introdurre.
A dire il vero mi sono pentito di averla inserita perché trovo estrema difficoltà a versare in scritto alcune idee che a malapena sono chiare nella mia mente. Condensare in poche righe le mie riflessioni su The Phantom of the Opera e su come tutta l'opera si incentri su cambi di luce e buio è impresa arditissima:

Incipit: Perhaps we may frighten away the ghost of so many years ago with a little illumination, gentlemen ?

Explicit: it's over now, the music of the night.

Così come mi pare titanico riuscire a trasmettere il mio punto di vista sul ruolo della luce ne Il cane dei Baskerville di Sir Arthur Conan Doyle.

Capitolo 1: Really, Watson, you excel yourself" [...]. It may be that you are not yourself luminous, but you are a conductor of light.

Capitolo 14: And now I come rapidly to the conclusion of this singular narrative, in which I have tried to make the reader share those dark fears and vague surmises which clouded our lives so long, and ended in so tragic a manner.

Riservandomi di approfondire la questione in futuro, mi limiterò a copiare un passo da un testo che ritengo fondamentale per il mio lavoro. Nel brano si tratta di Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 1598 – Roma, 1680) e del modo con cui egli ha introdotto la luce nella scultura come elemento scenico essenziale.

"Impiegare la luce direzionata, la cui fonte sia celata allo spettatore, è stata una delle grandi invenzioni di Bernini. In contrasto con la luce serena e diffusa impiegata dagli artisti del Rinascimento, la luce direzionata appare transitoria, precaria. La luce direzionata sostiene nello spettatatore la sensazione della fugacità della scena rappresentata. Ci si rende conto che il momento dell'illuminazione divina sopravviene e scompare. Con la sua luce direzionata, Bernini aveva trovato la strada per realizzare l'esperienza fedele ed intensificata del soprannaturale." §

Wittkower, R., La scultura raccontata da Rudolf Wittkower, dall'antichità al Novecento, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1985.

Questo è quanto. Attendo il giudizio finale che spero comunque sia appellabile.

Pangrammi

Dicesi pangramma una frase di senso compiuto nella quale compaiono tutte le lettere dell'alfabeto. L'altro giorno (v. supra Giovedì 11 Settembre 2008) mi era venuta in mente la frase "The quick brown fox jumps over the lazy dog" che è, appunto, un famoso pangramma inglese.
Questo, chiamiamolo, esercizio non è del tutto privo di utilità; viene spesso usato in tipografia ed in calligrafia per mostrare i vari caratteri in tutte le loro forme di manifestazione.
Il post continuava sostenendo che alcuni ritengono "Ma la volpe col suo balzo ha raggiunto il quieto fido" una perfetta traduzione della frase di cui sopra. Ciò è vero non tanto in termini letterali, quanto in termini di pangramma, dato che la frase italiana mantiene la stessa caratteristica di utilizzare tutte le lettere del nostro alfabeto.
Un pregio del pangramma è la brevità, ma come sappiamo: brevi esse laboro, obscuro fio. Umberto Eco produsse negli anni ottanta un celebre pangramma eteroletterale (tutte le lettere ed una sola volta), "Tv? Quiz, Br, Flm, Dc... Oh, spenga!", ma introdurlo nel mio primo post sui giochi con le parole è forse troppo azzardato.

lunedì 15 settembre 2008

Commenti

Ora, non che sia necessario il consenso dei miei lettori, ma se avessi ricevuto almeno un commento critico sui miei post avrei modo di orientarmi meglio e di scegliere con maggiore consapevolezza gli argomenti da trattare.
E' vero, ed anzi è verissimo, che io scrivo "da me a me stesso" e che quindi - avendo me come lettore modello - è abbastanza facile soddisfarmi. Ma visto che scrivo su un blog e non sul mio taccuino (dall'arabo taquîm, giusto ordine, ordinata disposizione) e visto che ho le maledette Shinystat, è anche vero che scrivo per chi mi legge. Un flatus vocis sulle categorie, sui temi, sullo stile, sulla pedanteria, mi giungerebbe graditissimo.

"Sei troppo peso ! Sciogliti !"
"We are not amused !"
"Posa il fiasco !"

... tutte annotazioni che sono disposto a ricevere anche in forma anonima.

domenica 14 settembre 2008

Ora per poi io preparo

Domani la bimba comincia la scuola. Prima elementare con Madre A***. Il nome sarebbe bello da scrivere, ma non lo voglio divulgare per il rispetto che nutro verso la privacy altrui [per inciso: i sudditi della regina leggono privasi e non praivasi].

Molti mi hanno detto, con rammarico, che questo evento cambia la vita familiare, gli equilibri, i ritmi. Sarà anche vero, ma non essendoci alternativa, c'è poco da dire.

Si farà come han fatto gli altri. Così avrebbe detto la mia nonna Velia [per inciso: all'anagrafe era Lelia, ma così ce la chiamava solo il dottore e quelli dell'ufficio elettorale]. Quale augurio per la bimba, ed in ricordo della nonna (che me l'ha insegnata) lascio questa filastrocca:

Gennaio mette ai monti la parrucca
Febbraio grandi e piccoli imbacucca
Marzo libera il sol di prigionia
April di bei colori orna la via
Maggio vive tra musiche di uccelli
Giugno ama i frutti appesi ai ramoscelli
Luglio falcia le messi al solleone
Agosto, avaro, ansando le ripone
Settembre i dolci grappoli arrubina
Ottobre di vendemmia empie la tina
Novembre ammucchia aride foglie in terra
Dicembre ammazza l'anno e lo sotterra

sabato 13 settembre 2008

Aahh ... e anche stasera è andata

La cena in onore di Lucianino a casa del Conte Mascetti

Una frittatina di due uova (da mangiarsi in tre).

Rinforzino: nove olive di numero, mezz’etto di stracchino e un quarto di vino sfuso.

Piuttosto

Mi infastidisce moltissimo l'uso dell'avverbio piuttosto in senso disgiuntivo (come il latino vel). Leggo online, prima di scrivere questo post, che non sono solo a combattere questa crociata. Del problema se ne sono occupati tutti: dall'Accademia della Crusca in giù. Nonostante questo il problema persiste. C'è evidentemente bisogno di ribadire che l'avverbio in questione si usa in senso esclusivo (come il latino aut).

Oggi sono un pochino nervoso.

venerdì 12 settembre 2008

Comunicazione di servizio

Il Comandante era solito promettere ai propri editori la stesura di ponderose opere, anche in più volumi, che regolarmente non scriveva pur avendone riscosso sostanziosi anticipi. Trilogie di romanzi, opere teatrali, raccolte di poesie e scritti di ogni genere venivano persino annunciati al pubblico che poi attendeva in vano.
Anch'io mi uniformerò al suo stile annunciando una serie di categorie che, nel tempo, vorrò riempire con una serie di post. Con l'occasione descrivo anche le categorie già in uso.

Déjeuner célèbres: piccola antologia di pranzi descritti in opere letterarie;
Malacologia: post a tema marino aventi come filo conduttore le conchiglie;
Mesti accenti: post relativi alla Versilia che nel cuor mi sta.
Nulla dies sine linea: quando, pur di non scrivere...

Nomina nuda tenemus: post su questioni di lingua
Lucus a non lucendo: post su luci ed ombre
Ta ta tarata ta ta ta: sulle stagioni, i mesi, i giorni, le ore
Per speculum: sugli enigmi ed i giochi con le parole

Tant'è

giovedì 11 settembre 2008

Omnia auxilianter Maria

Per qualche ragione a me ignota, i miei maggiori decisero di identificarsi nell'emblema della cerva che salta d'un balzo un monte roccioso.

[Mi viene in mente la frase "Ma la volpe col suo balzo ha raggiunto il quieto fido", che per alcuni traduce perfettamente "The quick brown fox jumps over the lazy dog", ma questa sarebbe un'altra storia e - semmai - la racconterò in un altro momento].

Per mio conto ho quindi sempre ricercato con interesse le varie versioni della storia che ha dato origine al toponimo "Salto della Cervia"; una località ai confini estremi della Versilia, se non della Lucchesia, se non della Toscana, se non ...
Di seguito la versione che ne dette Scipione Ammirato:

L'etimologia di Salto della Cervia si vuole che abbia per origine un miracolo accaduto a un cacciatore che perseguitando in quei boschi e monti una Cerva, e ridottala in angustia tale da non poter fuggire la morte disse: "adesso non ti può salvare nè Dio, nè la Madonna". Ma ad un tratto precipitossi la Cerva dall'alto monte nel piano senza farsi male alcuno, e lasciò nella dura pietra sopra la quale era caduta impressa la figura dei suoi piedi, per il che fu edificata una chiesa, e dedicata alla Vergine Madre, col pronome di Salto della Cerva. Così sono le tradizioni di quei tempi.

Ammirato, S., Istorie Fiorentine di Scipione Ammirato... con l’aggiunte di Scipione Ammirato il giovane, Massi, Firenze, 1641-1647.

mercoledì 10 settembre 2008

La cena del Gatto e la Volpe

Ecco cosa mangiarono il Gatto e la Volpe, ospiti di Pinocchio al Gambero Rosso:

Il povero Gatto, sentendosi gravemente indisposto di stomaco, non poté mangiare altro che trentacinque triglie con salsa di pomodoro e quattro porzioni di trippa alla parmigiana: e perché la trippa non gli pareva condita abbastanza, si rifece tre volte a chiedere il burro e il formaggio grattato! La Volpe avrebbe spelluzzicato volentieri qualche cosa anche lei: ma siccome il medico le aveva ordinato una grandissima dieta, così dové contentarsi di una semplice lepre dolce e forte con un leggerissimo contorno di pollastre ingrassate e di galletti di primo canto. Dopo la lepre si fece portare per tornagusto un cibreino di pernici, di starne, di conigli, di ranocchi, di lucertole e d'uva paradisa; e poi non volle altro. Aveva tanta nausea per il cibo, diceva lei, che non poteva accostarsi nulla alla bocca. Quello che mangiò meno di tutti fu Pinocchio. Chiese uno spicchio di noce e un cantuccino di pane, e lasciò nel piatto ogni cosa.

Collodi, C., Le Avventure di Pinocchio: Storia di un Burattino, Felice Paggi, Firenze, 1883.

Categorie

Oggi, pur con l'irregolarità che mi contraddistingue, darò inizio ad una nuova serie di post accomunati da uno stesso tema. Tratterò dei déjeuner célèbres, ovvero di quei pranzi descritti mirabilmente in opere letterarie; limitandomi, naturalmente, a quelli in opere da me lette o consultate allo scopo.
Per questo motivo, per poter facilitare la ricerca del tema, sento l'esigenza di ricorrere all'uso delle categorie, od etichette, come vengono qui chiamate. E da quella via proverò a ridurre sotto temi comuni anche gli altri miei post. Tant'è.

martedì 9 settembre 2008

Binario, fredde parallele della vita

Nel mondo esistono 10 tipi di persone: quelli che capiscono i numeri binari, e quelli che non li capiscono.

lunedì 8 settembre 2008

Le virtù termometriche del mio corpo

Quest'estate, grazie ad un mese ininterrotto di bagni di mare, ho riscoperto sensazioni sopite da quasi venticinque anni. Le piante dei piedi scottate dalla rena arsiccia, l’acqua salsa del mare quasi fredda a repentino contatto colla pelle bronzata ed arsa dal sole battente, i peli delle braccia in grado di cogliere ogni refolo di vento. Mi solleva considerare quanto il mio corpo abbia conservato, tutto sommato, eccellenti virtù termometriche.

domenica 7 settembre 2008

Hope - less ?

Tutta questa impresa
e poi il sabato all'Iper a far la spesa

venerdì 5 settembre 2008

[Should be] buried with a stake of holly through his heart

Di questi tempi, lo scorso anno, avrei passato la giornata a preparare il christmas pudding. Ciò - naturalmente - più per il gusto di dirlo che per quello di mangiarlo. E per il piacere di poter stare otto ore seduto in cucina a rabboccare con un lungo mestolo d'alluminio il livello del bagnomaria. Chi mi ha tolto il divertimento dovrebbe fare la fine che suggerisco nel titolo.

giovedì 4 settembre 2008

Decus et tutamen

Ogni tanto si trovano conchiglie con un piccolo foro nella parte superiore. Pensavo che fosse causato dall'azione combinata dell'acqua e della sabbia in un continuo vorticare dall'interno. Invece si tratta di "fori da predazione". Qualche altro mollusco, in poche parole, se le mangia dall'esterno praticando un buco con un metodo chimico-fisico.
Quindi, anche nelle conchiglie, ogni tanto il tutamen non tiene.

mercoledì 3 settembre 2008

Scrobicularia plana

La sabbia scintilla infinita,
quasi in ogni granello gioisca.
Lùccica la valva polita,
la morta medusa, la lisca.
 
In ogni sostanza si tace
la luce e il silenzio risplende.
La Pania di marmi ferace
alza in gloria le arci stupende.

Il Comandante aveva capito la Versilia come pochi al mondo.

martedì 2 settembre 2008

Gafrarium calypigum

Rodolfo Barberi - col quale condivido lo status di fortemarmino emigrato - descrive nelle sue memorie l'emozione provata nel rivedere i nicchi e le arselle della nostra spiaggia. Dopo esser stato sette anni in Brasile le conchiglie gli parvero avere valore maggiore delle perle e degli ori d'Egitto.

lunedì 1 settembre 2008

Acanthocardia tubercolata

Sembra che io sia stato niente di più di un ragazzo che, sulla battigia, si diverte a trovare ogni tanto un sasso più liscio od una conchiglia più bella del solito, mentre il grande oceano della verità gli giace innanzi, ancora tutto da scoprire.