venerdì 30 gennaio 2009

Adversaria anatomica

Ieri sono stato - controvoglia - all'istituto di anatomia patologica dell'Università di Firenze. Dovevo andare a ritirare una copia di un vecchio referto da una professoressa che si è dimostrata gentile, cortese ed affabile. Bontà sua.

Lo sforzo che ho fatto - e, conoscendomi, ce n'è voluta - è stato ampiamente ripagato dalla visita al museo dell'istituto. Passeggiando per il corridoio ho notato che la porta era aperta e mi sono fatto accompagnare per una visita di straforo, saltando l'iter tortuoso previsto dall'amministrazione.
Nella collezione si ammirano, per chi sia interessato, una serie di mirabolanti cere raffiguranti le peggiori malattie e deformazioni del corpo umano. Persino - per gli amanti del genere - una cera a grandezza naturale raffigurante il cadavere di un lebbroso. Oltre, naturalmente, a scheletri di idrocefali, calchi di iperspadici, teste doppie su un corpo solo ed altre penosità inimmaginabili.

La raccolta ha un doppio pregio: da una parte mostra con chiara evidenza il vertice dell'arte ceroplastica, dall'altra propone testimonianze di malattie ormai debellate o curabili prima che giungano a stadi così gravi.
Trattasi di un museo da sconsigliare agli stomaci deboli, ma che vale proprio una visita, anche se lascia nei giorni futuri un senso di disagio nei confronti del prossimo.

A scopo consolatorio, anche per chi non è solito visitare simili esposizioni, riporto una citazione di Beethoven che compare in un suo ritratto ad opera di Leone Tommasi:

Chi avrà penetrato il senso della mia musica sarà liberato da tutte le miserie fra le quali si trascina il resto dell'umanità.

mercoledì 28 gennaio 2009

zero/uno

Vi riporto di seguito una frase degna di essere letta:

Nel breve scritto De organo sive arte magna cogitandi Leibniz, nel cercare pochi pensieri dalla cui combinatoria tutti gli altri possano essere derivati, come accade per i numeri, individua la matrice combinatoria essenziale nell'opposizione fra Dio e il nulla, la presenza e l'assenza. Di questa dialettica elementare è meravigliosa similitudine il calcolo binario.

Eco. U., Semiotica e filosofia del linguaggio, Einaudi, Torino, 1980.

Suum cuique tribuere

Come fosse ieri, sessantaquattro anni or sono, l'esercito russo entrava in Auschwitz e liberava gli internati sfuggiti alla folle marcia della morte, l'ultimo disperato tentativo tedesco di sfuggire dalla responsabilità.

Io ho inteso ricordare il prigioniero ignoto, scegliendo a caso un numero di matricola rappresentativo, più che di un individuo particolare, dell'idea stessa di deportato. E' finita che alcuni, assai più bravi di me, sono riusciti a trovare nome, cognome, residenza ed esito di quel numero di matricola, rivestendo quindi di ossa e di carne quel fantasma che credevo d'aver evocato nell'anonimato. Meglio così.

[Per inciso: si tratta di un deportato veneto, partito dal campo di Fossoli e riuscito a sopravvivere].

Oggi, pur in ritardo, voglio stimolare una riflessione sui motti che campeggiano sui cancelli d'ingresso dei campi. Conoscevo il celebre "Arbeit macht frei" che ritenevo velato di una macabra ironia. Nulla sapevo, invece, del motto "Jedem das Seine" che dava il benvenuto a Buchenwald. Può forse tradursi con la frase "a ciascuno il suo" e mi pare così orribile, così scientemente malvagio, così filosoficamente spregevole da non poter immaginare niente di peggio. Mi offende per due ordini di ragioni: la principale è evidente, e non merita di essere commentata; la subordinata è legata al fatto che la stessa frase è posta a cardine del diritto romano ed è nata con significati e scopi assai più nobili. Usarla in chiave antisemita è quindi anche un oltraggio ai principi fondamentali del nostro sistema giuridico.

Come se non bastasse tutto il resto.



lunedì 26 gennaio 2009

Olio that wad staw a sow

Ieri si officiava il duecentocinquantesimo anniversario della nascita di Robert Burns, massimo poeta scozzese. Un tempo lo celebrai degnamente con haggis (portato da amici scozzesi) con contorno di nip and tatties ed annaffiato da whisky di malto singolo. Ieri sera non eravamo dell'umore adatto, tuttavia non ho rinunciato ad una stilla di Caol Ila con il pensiero rivolto al bardo delle campagne.

Quel farabutto, è vero, ha osato parlar male del nostro olio d'oliva, ma noi lo perdoniamo; che olivi, in Iscozia, non ce ne resiste.

Oggi, invece, è il sesto compleanno di A.

sabato 24 gennaio 2009

Istrice Piero

Istrice Piero
una poesia di
A. Salvatori

Istrice Piero cammina.
La mamma lo chiama.
E lui non risponde.
E dice qual’è,
Il mio numero.
Di telefono?
13.29.41.55.67.78.46.44.
17.19.22.41.43.60.
1.41.43.54.68.81.
Mamma ho finito.
Di fare merenda.
Mamma eccomi.



venerdì 16 gennaio 2009

Vitam coactum statum esset

In Bleak House, magistrale capolavoro del massimo romanziere di tutti i tempi, il personaggio dal nome Mr. Jarndyce ha una stanza della casa dedicata al brontolìo, al borborigmo, al personale cruccio contro gli accadimenti della vita. Una stanza apposita, costruita e mantenuta a quel particolare scopo e perciò chiamata The Growlery.

Come si chiamava Mr. Jarndyce di nome ? Come me ?

[Per inciso: Il titolo del post è citato da Brunonis, Johannis, Elementa Medicinae, Edinburgi, apud C. Elliot, 1780.]

giovedì 15 gennaio 2009

Tant'è

Noto con un certo orgoglio le recurring visits di un anonimo che si collega tramite il server della Regione Toscana.

Di questo, non foss'altro, lo ringrazio.

mercoledì 14 gennaio 2009

1987

Quando dico, o scrivo, la frase "io sono innamorato di te", sento ancora le farfalle nello stomaco. 
Dev'essere la famosa crisi del settimo anno.

sabato 10 gennaio 2009

Oh, baby, it's a wild world

Talvolta quando sono in macchina od al gabinetto, mi trovo a pensare possibili contenuti per i post. Mi siedo davanti al computer, apro Blogger.com e vorrei poter scrivere di getto, battendo sulla tastiera come se avessi sotto le dita i tasti bianchi e neri di un pianoforte. Vorrei potervi suonare i miei pensieri, anzichè scriverli. Ma poi, inaspettatamente, mi annoio. Mi viene da sbuffare, e cambio idea.

Ho in mente un'aria leggera, fresca, fatta di foglioline verdi su uno sfondo di cielo azzurro, ma quando mi metto a comporla viene fuori, anzichè un plagale, il buio d'una plaga melmosa sulla quale si intreccia un groviglio di tronchi annodati. Quei tronchi delle fiabe, coi rami che sembrano artigli pronti a sgrinfiarti.

Ho qui al mio fianco un paio di libri che vorrei leggere, che mi interessano, che sento il desiderio di sottolineare con la mia matita verde. Ma poi li apro, scorro le prime righe e mi annoio, mi viene da sbuffare, e cambio idea.

Ho a disposizione, rara avis, il tempo necessario per potermi iscrivere ad un nuovo corso di laurea. Potrei passare interi pomeriggi a leggere, a studiare, ad approfondire argomenti nel campo della storia dell'arte. E mi immagino già a ricominciare a prendere appunti, ad annotare, a fare schemi, a tracciare mappe per poter tenere a mente i vari percorsi del ragionamento. Ma poi provo a leggere il piano di studi, cerco di capire il nuovo sistema dei crediti informativi, mi annoio, mi viene da sbuffare, e cambio idea.

Insomma, ogni momento sembra che stia per partire un treno, ma poi il convoglio resta in stazione. Parto da casa con l'idea di far questo, di sistemare quello, di scrivere a quell'altro, di riordinare, sistemare, archiviare. E poi mi trovo a non dar seguito ad alcuno dei propositi così dettagliatamente progettati. Tutto si esaurisce, insomma, nell'intenzione.

Ora mi viene in mente una possibile soluzione: Wild Oat e Wild Rose.
Che debba provare anch'io ?

giovedì 8 gennaio 2009

Ricetta

Oggi ho affrontato un colloquio ormai inevitabile. L'ho rimandato il più possibile, ma oggi non potevo proprio sottrarmi. Ho ascoltato un'oretta di monologo io-io-io tutto dettato da un unico punto di vista (con momenti, a dire il vero, condivisibili e ragionevoli) e poi mi sono permesso di parlare. E mi è venuta fuori questa frase che, se volete, potete usare anche voi quando siete in difficoltà. Ho detto:

"Prova ad adottare questa regola generale: ogni volta che trovi negli altri un difetto, una mancanza, uno sbaglio ... prima di andare avanti, fermati e cercane uno dentro di te. Non passare al secondo difetto altrui, prima di averne trovato uno a te imputabile".

Naturalmente, dalla vetta dell'io che avevo davanti non è stata nemmeno ascoltata, ma a me sembra una bella regola, non vi pare ?

Tant'è.

martedì 6 gennaio 2009

Ad multos annos !

Oggi è giorno cruciale. Per molti viene la Befana [o Pefana che dir si voglia, per assonanza con Epifania] a portare i dolci ed il carbone, per altri ricorre il compleanno di Sherlock Holmes, per altri ancora è la Dodicesima Notte (da cui l'opera del Grande Bardo) Per me tutte e tre le cose sono legate, ma il perchè - se vi interessa - lo scriverò in altra data.

Oggi voglio riflettere su una circostanza precisa: sul male inferto in buona fede agli altri. Non c'entra nulla con la Befana, nè con Mr. Holmes o Shakespeare, ma piuttosto con il fatto che gli altri, molti altri, fanno del male al prossimo senza renderse conto. Ed anzi, lo fanno in buona fede, magari anche credendo di far del bene. Compiono azioni, insomma, senza analizzare prima gli effetti diretti sulla vita altrui.

Tizio mi telefona, mi tiene inchiodato un'ora con un monologo privo di significato ed offensivo per me e per i miei. Se ne rende conto ? No, affatto. Ed anzi forse crede di aprirmi gli occhi verso la verità, tralasciando del tutto il fatto di confrontare il suo punto di vista con il mio, con quello degli altri, con - ... diciamola tutta, via - con la realtà.

Caio persegue il suo precipuo ed esclusivo interesse. Non parla d'altro, non vede altro, non muove muscolo se non per giungere alla sua personalissima meta. E me ne parla, mi racconta, mi illustra ogni mossa, ogni spostamento di pedina, ogni ritocco teso a colpire il centro del suo bersaglio. Mi chiede pareri, punti di vista, suggerimenti e pretende da me sostegno ed assistenza in questo suo disegno. E non capisce che per me - e per chiunque - è motivo di dispiacere, di delusione, quasi di dolore. Sediamo allo stesso tavolo, mangiamo lo stesso pane, eppure lui tira al suo.
Al-su-o.

Mevio, invece, non fa nulla. Se ne frega: non chiede, non si informa, si scansa, sta alla larga, scantona. Potrebbe agire, e forse farebbe anche del bene, riuscirebbe magari a raggiungere risultati importanti. Ma no. Galleggia lontano per i fatti suoi. E gli altri" ... s'hanno a appiccà", come diceva Quella.

Signore, ti prego, dammi la forza di capire quando anch'io - involontariamente o meno - mi comporto così. Fammi un cenno, una strizzata d'occhio, un colpetto di tosse per significarmi : "Gianluchino, attento, ricordati che esistono anche gli altri".

[Per inciso: il titolo del post voleva essere celebrativo delle ricorrenze. Ma poi, scrivendo, sono andato fuori tema. Forse perchè sono solo a casa, e lo spleen rimolge].

sabato 3 gennaio 2009

Caol Ila

Ora, sorseggiando Caol Ila 18 yo., quanto ho scritto nel pomeriggio mi pare ancor più vero e fors'anche maggiormente sottoscrivibile.

Altro che Sonnino e torniamo allo Statuto ! Torniamo al Granducato !

Hic manebimus optime


Anche quando sono digiuno di Caol Ila, e quindi le mie riflessioni non hanno innanzi la foschia della torba di Scozia, provo sempre un livido rancore nei confronti del Barone di Ferro. 

Dobbiamo infatti a quell'improvvido statista la fine del Granducato di Toscana e la consegna della nostra terra a quei criminali capaci solo di trascinarci in guerre perse (o vinte per modo di dire).

Qui c'è tutto: mare (isole comprese), montagne innevate, colline, pianure ubertosissime, fiumi e laghi. C'erano più di trenta miniere in grado di fornire rame, ferro, piombo, argento e chissà cos'altro, ed è tutta Toscana la redazione del primo codice in materia, la lex mineraria risalente al XIII secolo. Non parliamo poi delle cave di marmo, per carità, che non hanno eguali.

Qui Marsilio Ficino ha rifondato la filosofia, Leon Battista Alberti l'architettura, Guido d'Arezzo la musica, Luca Pacioli la geometria, per l'arte non c'è bisogno di far nomi, per la poesia nemmeno, per il diritto basti ricordare l'abolizione della pena di morte già dalla fine del Settecento. Qui Galileo ha gettato le basi del moderno metodo scientifico, da qui si sono osservati i primi pianeti, da qui Fibonacci ha importato la matematica araba ed ha insegnato persino a Federico II. Qui, tra le mille altre cose che mi sfuggono, è stato realizzato il primo orto botanico del mondo.

Pensare a quel nano baffino che ha ceduto il nostro territorio in mano a quella razaccia di assassini mi rende sempre di pessimo umore.

Che qui, tra di noi, saremmo stati bene.


[Per inciso: questo post non mi piace, e non l'avrei pubblicato se non per rompere il silenzio che mantengo dal 24 decembre scorso]