lunedì 7 aprile 2014

Diavole

C’era una volta un di quei soliti falsi romiti tutti gola e tutti pancia, che spesso andava a far visita a un suo conoscente. Era una buona posta, perché a qualunque ora capitasse, gli dava da mangiare; e per bere poi gli empiva una bella lucia*, di quelle che ora si tengono perle cantine, sempre la solita, una buona dose di vino, perché un boccale lo teneva sì come di sì, e forse anche qualcosina vantaggio.
Questa lucia laggiù nel fondo, dalla parte di dentro, ci aveva un Gesuino dipinto; era fatto alla meglio e alla peggio, ma si riconosceva subito per un Gesù.

Il romito dunque s’attaccava alla bocca la lucia con certe succhiate da vero tedesco, e diceva tutto intenerito: “O bone Jesu, quando te videbo!” E non c’era pericolo che passasse una volta senza che vedesse il fondo. Dàgli oggi dàgli domani, a quell’altro gli venne a noia di aver sempre lì quel buzzo sfondato e pensò come poteva fare per allontanarlo. E che ti stilla? Comprò un’altra lucia compagna, ma nel fondo ci fece dipingere un diavolo, un bruttissimo diavolo con tanto di corna, e la prima volta che ritornò il frate, invece di mettergli davanti quell’altra dal Gesuino, gli ci mise questa. L’omo se ne andava giù giù beendo con certi occhi lustrenti, e diceva ogni po’ poino: “O bone Jesu, quando te videbo! O bone Jesu, quando te videbo!” quando tutto a un tratto, invece di scoprire il Gesù, scoperse il diavolo! Dice: “Al buon Gesù un po’ gliene lasciavo, ma a te nulla! Neanche un goccio!”. E l’asciugò come se uscisse allora di fornace. Ci fece un bel guadagno quell’altro a mutar lucia!

* Recipiente di terracotta. Nelle campagne livornesi e pisane, vaso di terracotta con un manico ed un beccuccio per travasare il vino.

NIERI, I., Cento racconti popolari lucchesi, Livorno, Giusti 1906.