sabato 30 ottobre 2010

Dodici anni ben spesi

Ci vuole sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria miseria. L'odio è la vera passione primordiale. E' l'amore che è una situazione anomala. Per questo Cristo è stato ucciso: parlava contro natura.

Eco, U., Il cimitero di Praga, Bompiani, Milano, 2010, pg. 400

venerdì 29 ottobre 2010

I tempi del nonno

Ai miei maestri piaceva mangiar bene, e questo vizio deve essermi rimasto anche nell'età adulta. Ricordo tavolate, se non liete almeno compunte, dove i buoni padri discutevano sull'eccellenza di un bollito misto che il nonno aveva fatto apprestare.
Ci volevano almeno mezzo chilo di muscolo di manzo, una coda, culaccio, salamini, lingua di vitello, testina, cotechino, gallina, una cipolla, due carote, due coste di sedano, una manciata di prezzemolo. Il tutto lasciato cuocere per tempi diversi, secondo il tipo di carne. Ma, come ricordava il nonno, e padre Bergamaschi approvava con energici cenni del capo, appena collocato il bollito sul vassoio di portata, occorreva spargere una manciata di sale grosso sulla carne e versarvi alcuni mestoli di brondo bollente, per farne risaltare il sapore. Poco contorno, salvo qualche patata, ma fondamentali le salse, vuoi mostarda d'uva, salsa al rafano, mostarda alla senape di frutta, ma soprattutto (il nonno non transigeva) il bagnetto verde: una manciata di prezzemolo, quattro filetti d'acciuga, la mollica di un panino, un cucchiaio di capperi, uno spicchio d'aglio, un tuorlo d'uovo sodo. Il tutto finemente tritato con olio d'oliva e aceto.
Questi erano stati, ricordo, i piaceri della mia infanzia e adolescenza. Che altro desiderare ?

Eco, U., Il cimitero di Praga, Bompiani, Milano, 2010, pg. 79

mercoledì 20 ottobre 2010

Damnatio memoriae

Ora, per carità, non è per una questione di snobberia. No, proprio, no. Gli è per via del fatto che vorrei evitare, possibilmente, il dramma di non riconoscere e - soprattutto - l'onta di non venir riconosciuto.

A parte quei sett'otto che ho rivisto nel tempo, e che sono usi al me stesso di oggi, tutti gli altri mi hanno messo gli occhi addosso per l'ultima volta nel 1990. Ossia vent'anni or sono. I loro nomi mi dicono poco, i loro volti quasi nulla. L'entusiasmo col quale sorridono nel francobollino di Facebook che li ritrae, non mi è di alcun aiuto. E non c'è alcuna ragione che per loro non sia lo stesso nei miei confronti.

Chi è quel vecchio pelato ? Ma è il babbo di qualcuno che era a scuola con noi ? E' venuto a dirci che il figlio è morto prematuramente ? No, no, aspetta. Mi pare di riconoscerlo. Aspetta … come si chiamava ? Alberto, Umberto, Roberto, no … no, mi ricordo che a scuola metteva sempre per ridicolo cappotto con gli ossi al posto dei bottoni. Ma come si chiamava, proprio non lo ricordo.

Ecco, io questo non lo sopporterei.

Per carità non che la mia persona sia degna di particolare memoria. Ma il non suscitare alcun ricordo sarebbe un duro colpo per il mio ego. Magari qualificato come … "ah, quel rompicoglioni … ", tutto, piuttosto che l'oblio.

Già me la vedo, quella bionda slavata che strizza gli occhi nell'ombra. Mi guarda e mi riguarda. Scuote la testa. Parla a voce bassa con l'amica (una mascherona truccata come i carri del carnevale), chiede un suggerimento. Ma anche l'altra scuote la testa. Poi si rende conto che me ne sono accorto. Accenna un sorriso. Ma poi si alza per andare a prendere da bere. Mi gira le spalle. E, sempre con l'amica, confabula. Cerca di ripescare dalla mente il mio nome, il mio volto d'un tempo. Ancora scuote la testa. Poi va verso un ragazzo al centro della sala. Quello che all'epoca era il capo carismatico del gruppo. Gli chiede chi sono e quello, d'impronta, gli fornisce le mie generalità. Ma anche il mio cognome non le dice nulla. E neppure la sezione che frequentavo. Lui cerca, invano, di far riemergere il mio antico me stesso nella testa della bionda slavata. Ma non c'è nulla da fare. Annegato, sepolto, tamquam non esset.

No, no, no. Questo proprio non lo sopporterei.

Ecco, in poche parole, perché non andrò alla rimpatriata degli ex allievi C*** il prossimo 29 ottobre.

Santiago de Florencia

Cento chilometri ! Un viaggio. Da organizzarsi minuziosamente. Con tanto di scorte di cibo, bottiglie d'acqua e sistemi di intrattenimento per i bambini.

Raggiungere dalla costa il capoluogo di regione è impresa ardua, da compiersi dopo attenta pianificazione e previa redazione di testamento biologico. Sia mai che nel tragitto i banditi, i ladri o gli assassini assalgano la carovana per spogliar d'ogni bene l'incauto viandante.

Questa, più o meno, dev'essere l'idea di chi - da Forte dei Marmi - debba raggiungere parenti od amici domiciliati a Firenze.

Firenze è lontana, distante, oltremontana. E non ci sono mostre d'arte che tengano. Nè rappresentazioni teatrali od eventi culturali di un certo interesse. A Firenze ? Ma siamo matti ? Prima la macchina, poi il treno, forse addirittura l'autobus … no, no. Meglio starsene al Forte. Magari fare un salto alla Standa a Massa. Forse azzardarsi sino alla Metro di Pisa. Ma tenere sempre il mare a vista d'occhio. Giungere sin dove arriva il salmastro, e non un metro più su.

In questo momento, tanto per dire, qui a Firenze ci sarebbe la mostra del Bronzino* a Palazzo Strozzi, quella sul Rustici e Leonardo al Bargello ed una sui cassoni rinascimentali all'Accademia. Per non parlare poi delle consuete attrattive: la Signoria, il Duomo, San Lorenzo …

Ma no, no, guai. A Firenze non ci si va. E' troppo lontana. A meno che …

L'unica calamita, irresistibile ed invincibile, l'unico motore che riesce ad attrarre il versiliese in questo onfalo inospitale è l'Ikea. La grande madre svedese della quantità, la vera regina della casa, la dispensatrice di soluzioni.

Ora, intendiamoci: anch'io mi iscrivo nella lista dei felici clienti Ikea. Anch'io sono dotato della plasticosa tessera Family, anch'io spesso vado a gustarmi le loro aringhe affumicate. Insomma: acquisto e consiglio d'acquistare dai gialloblù. Ma ciò non ostante non riesco a capire per quale motivo il pellegrinaggio del marinello venga istigato dalle polpette svedesi e non da Michelangelo. Perché la mèta ultima sia Via Francesco Redi, 1 - 50019 Sesto Fiorentino e non, tanto per dire, Via del Proconsolo, 4 - 50122 Firenze.

La visita annuale alla Mecca della praticità toglie ogni dubbio, appiana ogni monte, cancella ogni tortuosità della strada. Ci si va persino con i figli, con le amiche, con i mariti**. Si parte in allegria, dopo scrupolosa compulsazione del catalogo, con la testa piena di Bestå, Mörrum, Patrüll, liste chilometriche di desiderata e misure del sottoscala scritte sul palmo della mano all'ultimo momento prima di uscire di casa.

E' proprio vero. Tira di più un pelo di Gåser che la Galleria Palatina.

Tant'è.

Ahh, sì. Proprio: tant'è !


* Bronzino era, tra le altre cose, il nickname di un biciclettaio (dicesi anche 'ciclista') che lavorava vicino a casa della mia nonna.

** La famiglia-tipo che si aggira per l'Ikea è argomento degno di una tesi in sociologia. E per questo meriterebbe un post a parte.

martedì 19 ottobre 2010

Ravings, sotto l'effetto di troppa vernaccia

Pare che ci sia grande fermento, per via che Obama parteciperà a Mythbusters. E noi, che viviamo alla periferia dell'impero facciamo finta di indignarci. Quando la nostra TV ha toccato il fondo. E scava.

Sabato sera ho visto per un'oretta "C'è posta per te". E ieri sera ho seguito il telegiornale. Roba da non crederci. E chissà cosa ne penserebbe Mario Pastore.

lunedì 11 ottobre 2010

Alcune fra le più note vicende di Guerino detto il Meschino

Di Guerin detto il Meschino
le vicende ognuno sa:
sa che il globo corse, fino
alle estreme estremità.

Degli oceani giunse il fondo,
delle nubi in sommità,
tutto vide il mappamondo,
da Saluzzo al Canadà.

Vinse mostri, sfidò flutti,
per un pelo non fu re ...
Ma se è storia nota a tutti,
raccontarvela - perchè ?

Tutti sanno che una volta
per andare a Zanzibar,
gli successe che a una svolta
sbagliò strada in mezzo al mar;

Sbagliò strada: prese a destra,
e doveva a manca andar,
cosicchè la via maestra
più non seppe ritrovar.

Corse l'onde come matto,
giorni, mesi, anni ... finchè ...
Ma se è noto a tutti è il fatto,
raccontarvelo - perchè ?


Sto, Storie di cantastorie, Adephi, Milano, 2008

P.S. Avrei voluto scriverle io.

venerdì 10 settembre 2010

Abbecedario napoletano

L'American Express che nessuno la prende,
e Bernardo Tanucci che mi confortava all'università.
Ciretta figlia del popolo che non si comprende.
Altro che tragedie napoletane, questo è stato un esempio di dignità.

Envia, il marito e i testimoni di Geova che s’aggrappan alle parole.
I femminielli, che a Natale fanno tombole nei quartieri spagnule.

Gigi, con gli occhi sulle dita e le recchie di pulicano,
l'I.C.E. 2, che non si sa cosa sia,
e Lina che invece vedeva assai più lontano.

Mascheramm' diceva per telefono ed aveva in uggia chi gli chiedeva come va,
e 'ngopp o mobilett', per indicare il cellulare dove sta.

Ocsia, che pareva un acronimo ed invece è una ninfa del mare,
i peperoni verdi che fanno da sugo e da contorno.
Le questioni da risolvere, stando attenti che non diventino amare.
Io non mi siedo a tavola, perchè tengo scuorn'.

Troisi, che come i patrioti merita una piazza,
l'U.I.C. che pare non serva più a niente.
Vacante è colto latinismo per dire che non c'è un cazz'.
Zianna che ci tornerebbe per morirvi dolcemente.

mercoledì 28 luglio 2010

Uno studio in rosa

Incredibile come il Grande Detective sia ancora straordinariamente potente. Ho appena visto la prima mezz'ora di 'Sherlock', una riedizione delle avventure di SH appena realizzata dalla BBC.

Pur ambientato nel nostro secolo, con tutto quello che ne consegue*, non perde il magnetismo, l'attrattiva, l'inossidabilità.

Centoventitre anni dopo l'uscita di Uno studio in rosso gli inquilini del 221B sono ancora perfettamente in grado di farci emozionare.




* Mi riferisco alla mancanza dello charme vittoriano, alla perdita del fascino fumoso di Londra, all'effetto nostalgico tanto caro ai laudatores temporis acti.

venerdì 9 luglio 2010

Al ladro !


Rubato, sparito, sottratto ! Il mio prezioso Calatrava ! L'unica copia rimasta di
Postuma, vertice della sua poesia ! Nemmeno la Nazionale, ho controllato, ne ha una copia. Non la Biblioteca del Congresso. Neppure la Pierpont Morgan di New York ! Ed ora come faccio ?

L'avevo lasciato in casa, sul comodino, per godermelo in santa pace. Ed ora non c'è più.

Dev'essere stato senz'altro un furto su commissione, perchè il ladro non ha rubato altro. Non i gemelli sul cassettone, non i contanti sul davanzale, neppure gli anelli di Lucilla sul settimino.

Sparito per sempre.

Grazie a Dio sono riuscito a mandar a memoria un suo componimento, che qui riproduco come meglio posso, perchè non cada del tutto nell'oblio l'opera dell'aedo. E mentre lo scrivo non mi resta che sperare in una richiesta di riscatto.




Io ti amo sino allo sgomento
del pensare che se non t'avessi amata
vissuto avrei in preda a ogne tormento.

Atto d'amore che 'l cor mi dilata,
fresca verzura, profumo d'aprile,
rosa odorosa appena sbocciata.

Porto sicuro, animula gentile,
termine fisso d'eterno consiglio,
sentiero nel bosco, raro monile.

Nel cielo più nero lampo vermiglio,
fonte d'estate, fragranza di pane,
di niveo candore più bianco del giglio.

Punto d'arrivo che fisso permane,
sei questo, sei altro, sei tutto per me,
il prima, l'oggi, e quel che rimane

sei il bello, sei il buono che al mondo non c'è.
Càrdine, perno e fulcro di vita
non-senso è la vita se senza di te.


Per l'ultima volta: Luigino S. Calatrava, Postuma, s.l., s.d. (ma probabilmente Firenze, seconda metà sec. XX)


venerdì 18 giugno 2010

Chapeau e scuse


Menzione d'onore alla anonima G. che, seppur con un piccolo sollecito, si è accorta della ignobile bischerata da me messa in atto col post di jeri.

Scuse a tutta l'altra schiera di lettrici (e forse anche lettori, per carità) che ho proditoriamente buggerato con la improbabile storia di:

Luigino S. Calatrava e Raul fanciullo,

in verità anagrammi - rispettivamente - del nome-e-cognome mio e di mia moglie.


Abbiate pazienza. E lasciatemi divertire, come diceva quello.

Tant'è

giovedì 17 giugno 2010

Raul Fanciullo


Ogni giorno, dopo aver mangiato, mi accendo un mezzo toscano e faccio due passi verso quelle tre solite bancarelle che vendono libri: Via Pellicceria, Piazza Strozzi, Via de' Martelli.
Cerco quello che cerco, come sempre, ma ogni tanto mi lascio prendere dalla curiosità e finisco per comprare libri che esulano dal mio interesse. Così, quasi volessi salvarli dall'oblio, quasi volessi - leggendoli - ridare vita ai personaggi che vi sono sepolti.

Ieri sono stato incuriosito dal nome dell'autore di un volumettino, un tale Calatrava, che m'ha ricordato lì per lì la famosa questione del ponte che collega Venezia alla terraferma. Ho preso in mano il libretto ed ho finito per comprarlo anche se poco interessato al contenuto. Così, per volontà di redenzione.

Si tratta di una raccoltina di poesie, quelle che i velleitari si stampano da soli per poter dire d'aver scritto un libro. Non indica infatti nè l'editore nè la data di pubblicazione. E contiene versi stentati scritti ad imitazione del bello. Di seguito ve ne copio uno:



Addosso, il gravame del passato
mi schiaccia sulla faccia della terra
e chi non c'è più, chi m'ha abbandonato
sottrae le munizioni alla mia guerra.

Rinchiuso, costretto ed assedïato
da una morsa d'egoismo che mi serra
annaspo, arranco e m'agito affannato
qui dove tutto asfigge, annulla, atterra.

Per quanto ancor giocare questo gioco ?
Per quanto ancora finger la finzione ?
Per quanto ancor saprò dissimulare ?

Che ogne tempo è troppo e troppo poco,
che tutta questa vita è un'illusione
che è vera solo lei che mi sa amare.

Luigino S. Calatrava, Postuma, s.l., s.d. (ma probabilmente Firenze, seconda metà sec. XX)




Sì, sì, c'è proprio scritto "asfigge". Non "asfissia".
Trattasi proprio di un amateur.

sabato 29 maggio 2010

In obscura nocte sidera micant


Iersera siamo stati ad Arcètri dove, grazie all'intercessione dell'amica A., abbiamo visitato l'osservatorio astrofisico.

Bello l'ambiente, affascinante la strumentazione, interessante la storia ... ma mi dispiace confessare che la visione delle stelle con il cannocchiale è stata deludente. Si vedevano dei pallini di luce tutti tremolanti e contornati da un alone. Saturno poi, con tutti quegli anelli, pareva una capocchietta di fiammifero dipinta nella lente. L'emozione sarà stata forte per i primi osservatóri, ma la TV di oggi ci ha abituati ad immagini troppo spettacolari per poter apprezzare la vera gloria di questa fase primitiva dell'astronomia.

Veramente straordinaria, invece, è stata la Camera di Wilson, o Camera a Nebbia. Un grande vassoio nero, circa 60 x 60, chiuso in una solida struttura in vetro entro la quale si forma un sottile ma fitto strato di vapore d'alcool. Non chiedetemi come, non chiedetemi perchè, ma questo sistema rende visibili le particelle che, attraversando lo strato, lasciano una scia chiaramente visibile ora spessa ora sottile a seconda della propria carica d'energia. Sembra di veder Pollock mentre dipinge di grigio su una piccola tela nera quadrata.

Ora, lì per lì la cosa non sarebbe poi così sensazionale. Ma quando ci si ferma a pensare che quella traccettina grigiastra rappresenta una particella che è partita dal Sole ( ... o magari da molto molto più lontano) ha attraversato tutto quelle che c'era nel mezzo, ha trapassato anche me che stavo davanti alla macchina, ha lasciato la traccia e poi ha continuato imperterrita bucando tutto quello che s'è trovata davanti, continuando indefessa il suo moto verso l'infinito ed oltre ... viene la cute anserina (che poi non sarebbe altro che la ciccia di gallina).

Sul serio, viene proprio la ciccia di gallina. Tanto che ad un certo punto me ne sono dovuto andare, perchè il pensiero dell'infinito, di quella particella che non si sarebbe fermata mai, mi soffocava d'angoscia.

Eh già. Perchè mentre il saggio indica il cielo con un dito, lo stolto guarda il dito. E ride.

giovedì 20 maggio 2010

Unde origo inde salus


Il muretto del melaio, con quelli che - probabilmente - sono stati i miei maggiori.

giovedì 29 aprile 2010

Q.L.B.P.

Vabbè che dirigeva Zubin Mehta, vabbè che suonava l'orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, vabbè che eravamo in Piazza del Duomo, ma qualcuno mi spieghi - se può - perchè sentire la banda per la strada mi scuote nell'intimo.

Ascoltare il Va pensiero o l'Inno di Mameli, così, suonati e cantati per la via, mi ha mosso alle lacrime.

Literally.

giovedì 22 aprile 2010

Presto !

Sempre per quella incoercibile volontà di apparire, di sembrare diverso, di stupire, mi sono imparato (sì, mi sono imparato. La gente scrive a senz'acca, un'uomo con l'apostrofo, settimana prossima senza l'articolo davanti; potrò io scrivere mi sono imparato, no?) una serie di giuochi di prestigio.

Sparizione del fazzoletto, ars divinandi con le carte, e - soprattutto - scrittura nel pensiero.

Che, se leggere nella mente altrui lo sanno fare in tanti, io ho la facoltà di scrivervi.

O meglio, ce l'ha il Mago Presto ! (con l'esclamativo). Che è il nome col quale vorrò farmi conoscere al grande pubblico.

Tant'è.

Presto !

martedì 20 aprile 2010

Sepolcro imbiancato !

Væ vobis scribæ et pharisæi hypocritæ, quia comeditis domos viduarum, orationes longas orantes ! propter hoc amplius accipietis judicium.

Matthæus, 23:14

sabato 17 aprile 2010

Si monumentum requiris, circumspice


Gli stessi piedi, che prima erano infagottati in un paio di stivaloni di camoscio foderati di pelliccia, ora passeggiano scalzi e nudi davanti a me. Sono di quella ragazza, incontrata per strada intabarrata in un cappottone siberiano che la impacciava nei movimenti, che ora si muove leggiadra sul palco vestita d'un abito bianco e leggero (vorrei scrivere leggiero, come il poeta).

Solo i capelli sono rimasti gli stessi: folti e neri con marezzature rosso rame che ogni tanto s'accendono sotto i riflettori.
Che anche il volto mi pare cambiato, ed il portamento stesso. Ora è quasi più bella, più a suo agio, più completa.

Queste rapide pennellate, anzi, per meglio dire, queste sbozzature voglion descrivere Elisabetta Salvatori, che ieri sera sono andato a vedere al Teatro di Rifredi nel suo La bimba che aspetta. Sbozzature che lei stessa utilizza per delineare la Carrara anarchica di fine secolo, la Viareggio gaudente di primo novecento, con tutto quello che ci sta nel mezzo.

Intrecciando ad arte una perfetta dizione italiana col mesto accento della Versilia che nel cor mi sta, riesce ad evocare a colpi di subbia, storie di uomini, di donne, di paesi. Tutta quella cultura, insomma, che ha concorso alla mia formazione.

Ed alcuni di quei colpi di subbia mi entrano nel petto, e provo un dolore misto a riconoscenza: per l'immagine della lastra di marmo che prima è desco quotidiano e poi lastra tombale, per la polvere di marmo che vedevo sugli occhiali di Sem Ghelardini, per la marmettola che mi inzaccherava le scarpe quando andavo sul piazzale del laboratorio.

E poi qualche altro colpo, dato di fino, con la gradina, per farmi vedere le onde del mare con occhio diverso, per ricordarmi di quando le zie mi portavano al cimitero (che gli òmini no, quelli un ci venìvino), per quella "Fate la nanna coscine di pollo" che m'avranno cantato proprio il 16 d'aprile di qualche anno fa, quando sono nato.

Brava Elisabetta Salvatori. Ad aver scolpito nel marmo, con la perizia di un panneggiatore, un monumento ai nostri monti, alla nostra terra, al nostro mare.

Brava. E grazie.

mercoledì 14 aprile 2010

Sic transit gloria mundi

Un giorno senza email, twit, post, messaggi su Facebook ... e ci si sente fuori dal mondo.

martedì 13 aprile 2010

C****

I miei venticinque lettori hanno quasi immediatamente espresso il loro sdegno per il tono salace del mio ultimo post.

E' vero. Ho utlizzato una parolaccia. Che ogni tanto pronuncio ma che quasi mai scrivo. Ma l'ho scritta perchè non potevo farne a meno e perchè rispecchiava, anche nel suo significato letterale, esattamente quanto intendevo comunicare. Non potevo scrivere "testa di pene", perchè non avrebbe avuto la stessa immediatezza. E poi "pene" poteva confondersi con "dolore, sofferenza, afflizione". Ed invece quelli sono tutti sentimenti che provo io. "Pene" sarebbe stata non solo inadatta, quindi, ma anche fuorviante.

E poi, con testa di c**** volevo proprio significare chi in testa ha solo quello. Chi governa le proprie azioni pensando solo alla immediata soddisfazione. Come ho già scritto altrove:

"chi, avendo mal ragionato sull'incertezza del domani, vuol esser lieto oggi. Ad ogni costo."

Abbiate pazienza, quindi. Vorrà dire che mi laverò la bocca col sapone.

lunedì 12 aprile 2010

Sdegno

Sembra quasi che abbia letto il Robâ’iyyât, quella testa di cazzo.


Omar Khayyâm, Robâ’iyyât, a cura di Alessandro Bausani, Einaudi, Torino, 1956

mercoledì 7 aprile 2010

Il triduo pasquale


- “Dai babbo, che bello, gli zii ci hanno invitato in barca per Pasqua !”

- “Vacci te.”

- “Ma come vacci te ? Non sei contento ?”

- “Macchè contento ! Ti pare ? Con questo tempo, con questo freddo, con questo mare ! Ed i bimbi ? Chi li guarda ? E la mi’ mamma ? Ma possibile che te ne venga in mente sempre una ?”

- “Sai che ? Io ci vado da sola !”

- “No eh, da sola ? Allora vengo anch’io”.

Questi gli scampoli di una conversazione che avreste potuto origliare se foste venuti a casa nostra lunedì 29 marzo (verso sera). Tornavo da un lungo fine settimana elettorale, dopo un viaggio in macchina da Forte dei Marmi durante il quale m’ero quasi addormentato, verso una destinazione che in quel momento malcelava più di una tensione. L’idea di partire in barca - a me, marinaio di sabbia - era non solo remota, ma quasi ostile. Trovavo ogni ostacolo, sollevavo ogni obiezione, instillavo ogni dubbio.

Ma come al sòlito ecco venire in soccorso mia moglie, con la sua pazienza, i suoi artifizi, i suoi musi. Entrando piano piano in costa e poi allargandosi mi ha convinto, e - dopo aver detto a tutti che partivo malvolentieri - mi sono fatto persuadere alla partenza.

E che errore avrei fatto a starmene a casa !

Pur nell’incerta temperatura di questa precoce primavera i 14 metri di Trilly ci accolgono con scintillante benevolenza per questo che è il primo viaggio della stagione.

Paolo, lo skipper, inizia sin da subito a darsi da fare e noi cominciamo a sistemare la spesa, dividerci le cabine, fare i letti. L’atmosfera, la novità, il placido rollìo ... tutto concorre - assieme alla vicinanza forzata dagli spazi ridotti - a creare quella sensazione di calda serenità che invita alla confidenza e stimola la più genuina fratellanza.

“In barca tutto si condivide” dichiara con voce stentorea la capitana, e mai affermazione fu più vera. Sottocopoerta si sente ogni rumore, dal fragoroso russare notturno ad ogni sciacquone tirato nel piccolo ma confortevolissimo bagno. Ciò che sarebbe intollerabile in un appartamento, a bordo diventa - au contraire - del tutto accettabile ed anzi persino divertente.

Per non tacere poi dello spettacolo offerto dalla natura. Sembrerà banale (ed anzi forse lo è), ma si rimane ancora affascinati dal blu del mare, dal celeste del cielo, dal verde delle coste. E si impara - proprio noi che ci dichiariamo toscanissimi - a riconoscere i profili di Pianosa, di Capraia, della Montecristo di Dumas.

David al timone insiste per una andatura sostenuta, almeno 7 nodi, e si diverte a fare a braccio di ferro col mare per tenere la barca inclinata. Flavia, rimpallata in un caffettano verde, si imbacucca con una kefiah ed affronta con navigata sicurtà ogni beccheggìo. Penelope sorride sempre nella sua beata gioventù e scatta compromettenti fotografie che finiranno su Facebook per la gioia di adolescenti dalla pelle atopica. Lucilla adorata, serena e felice, si gode la meritata distrazione dalla quotidianità, pur nella tensione del cordone ombelicale che rimane sempre con un capo a Firenze. Io, per mio conto, ostento savuarfèr e mi compiaccio di non soffrire di mal di mare.

Le fortificazioni medicee di Portoferraio, volute da Cosimo I già nella prima metà del cinquecento, ci accolgono con tutto il loro maschio turgore, e la sorte ci riserva un posto barca davanti alla porta della città; proprio quella porta che già vide passare sotto di sè imperatori, principi e granduchi.
Così, tra l’acquisto di un souvenir, un aperitivo e qualche etto di cioccolata, passa in estrema piacevolezza il triduo pasquale.

Ma dato che all good things must come to an end, il lunedì mattina - dopo una visita a quel che rimane delle vestigia napoleoniche - facciamo rotta per Salivoli.

Mare forza quattro - come il gioco tanto caro ai bambini - con lo scafo che resiste fiero ai picchi d’onda, qualche cazzatura di randa ed un vento di bolina che ci spinge a quasi 10 nodi, si veleggia verso il travaglio usato. Con la Pepe che promette di non mangiarsi più le unghie (alleccorita da un viaggio premio a New York), Flavia che indòmita dal mare si fa un sonnellino sottocoperta e qualche tazzina da caffè che si ostina ad obbedire alla forza di gravità ci avviciniamo alla terraferma.

VHF 9 : “Trilly a porto di Salivoli. Chiediamo assistenza per l’ormeggio, passo.”

“Ricevuto Trilly, posto numero 47, chiudo”.

Ed io, stupido, che non volevo venire.

Via Maggio's particular charm

[...] The ground floor of almost every one of this noble buildings, the English church being one of the few exceptions, was a showroom for antiques or reproductions, built or restored in the small workshop in the narrow streets and alleys leading off the Via Maggio. Some specialized in Florentine mirrors, some in chandeliers, or ornate, spindly salon furnitures; the grander shops recreated a whole stage sets in their windows, Renaissance drawing rooms complete with frescoes and birdcages and classical statuary; others were stuffed with junk.
Frances had never once seen a customer in any of these shops ...


Kent, C., A Party in San Niccolò, Penguin, London, 2003

sabato 3 aprile 2010

Ed io che non volevo partire

Templa moenia domos
arces portum
Cosmus Mediceus Florenti
norum Dux II
a fundamentis erexit
anno Domini MDXLVIII.

giovedì 1 aprile 2010

D. 1.1.10.1

Gli altri non esistono. Dilaghi pure l'egoismo.

Ognuno "basta" a se stesso. Ossia ognuno "pesa" e pe(n)sa per se.

Un po' come diceva Marcella Bella.


giovedì 25 febbraio 2010

L'iconoclasta

Avendo ben poco da dire, annoterò di seguito una frase degna d'esser meditata.

"[...] l'ingiustizia è la giusta punizione di chi si offre al giudizio dei suoi inferiori."

Wilcock, J. R., Il reato di scrivere, Adelphi, Milano, 2009

Forse un pochino troppo forte, ma degna comunque d'esser meditata.

martedì 23 febbraio 2010

FMS - Proeta

Di seguito riporto un quasi-sonetto del callido proeta Federico Maria Sardelli.

CVLII*

RISVEGLIO

In sonno ancora Amore
l'imago tua dipinge
e accende in tanto ardore
il cor mio che la finge;

e pur di nova speme,
quand'anco finta affatto,
l'alma tremante freme,
a un simile ritratto

sin che 'l forte desire
di cinger l'idol mio
mi desta dal dormire
saranno state perlomeno
le quattremmezzo,
ora chi si riaddormenta più,
accidenti a quel tegame.


* Il sonetto sarebbe stato il CLVII, ma a me piace di più CVLII.

Sardelli, F. M., Proesie II, suppl. al mens. "il Vernacoliere" n. 916 del Novembre 2008, Mario Cardinali Editore, Livorno, 2008.

martedì 26 gennaio 2010

Solus, ma questa volta non ad solam

L'amica giada g [***] ha mantenuto la minaccia di "taggarmi" (absit iniuria verbis) su Flickr. Osa chiedere, addirittura, che sotto alla mia venerabile immagine compaia un testo nel quale io dichiaro di me cose che lei non conosce.

La cosa è davvero redicola. (Sì, leggasi proprio redicola). La giovane in questione è stata testimone dei miei primi passi, era al mio fianco quando ho imparato a scrivere, mi ha sopportato nel periodo sovrabbondante della mia adolescenza, è stata invitata alle mie nozze, ha visto nascere i miei figli e mi deve ancora un pranzo in cambio dei mille e mille che mi ha scucito. Può sosteneresi, ragionevolmente, che ci siano cose di me che non conosce ?

Fossi un taciturno, un ombroso, un omertoso, si potrebbe anche pensare che di me le abbia rivelato poco. Ma se parlo solo io ? Se ho un ego smisurato ? Se non riesco a trattenere un pensiero ? Come può credere - la tapina - che esistano questioni ignote ?

Dovrei scrivere, allora, a beneficio di chi non mi conosce. Ma - ancora - è evidente che chi non mi conosce non ha interesse a sapere dettagli così precisi sugli atti minuti della mia vita quotidiana.

Insomma, giada g […], che vorresti ?

Per smentire quanto appena scritto, e per non interrompere questa catena di sant'Antonio del "taggaggio" (o "taggazione" o "tagging" ?) mi proverò - obtorto collo - a redigere un testo in sei punti ad usum delphini.

6. Mi chiamo Gianluca. E Gianluchino. O Gianlù. Ma anche Alvaro. E Ciccio. E Musmi. Mi sarebbe piaciuto chiamarmi Leone. O Gosto. Od anche Luigi. In certi ambienti sono noto col nome-de-plume di "The Dacre Hotel".

6. Mi piace il pollo al curry. Accompagnato col riso basmati. Mi piace il vino nero, e la pizza, e la frittata di patate (purché sia alta). Mi piace la curcuma, che per un periodo ho messo anche nel caffelatte, il pepe coarse ground di McCormick ed il club sandwich dell'Harry's Bar. Mangerei un chilo di broccoli tutte le sere. Non mi piace il formaggio, ma se sono invitato a cena lo mangio lo stesso per non dispiacere gli ospiti.

6. Mi piace il freddo, il caldo ed il clima temperato. Non soffro, insomma, né l'eccessivo rigore né l'estrema canicola. Ciò perché dòmino il segreto per mitigarne gli effetti. Ma questa è cosa che non rivelo.

6. Ho imparato - un pochino - l'arte della tolleranza. Prima di perder la pazienza, insomma, riesco a frenarmi; anche se delle volte mi ci vogliono le catene d'un àncora. L'esercizio della frenatura, tuttavia, ha inevitabilmente il side-effect di farmi cambiar d'umore. Ciò, ovviamente, in pejus.

6. Ammiro - e venero - il potere della parola.

6. Anch'io ho un numero preferito.

Scrivo qui - e non su Flickr - questo testo perchè non desidero che lo si associ alla mia figura. Che poi, a ben vedere, si farebbe presto. Basterebbe fare qualche ricerca incrociata su Google, e tutto salterebbe fuori.
Ma un minimo di riservatezza, insomma.

lunedì 25 gennaio 2010

Gravis dum suavis

[Pescara] 11 luglio [1888]

Jersera, tornando da Francavilla, trovai la tua lettera. Grazie. Ogni parola mi bruciava l'anima. Uscii, dopo, e camminai lungo il mare, per molto tempo. Non mai, io penso, l'anima d'un uomo ha cercata con maggiore furia di passione, d'ardore e di desiderio un'altra anima. La notte, il mare infinito, tutto il mondo degli astri e del silenzio mi pareva angusto a contenere quella terribile espansione d'amore umano.
Sentisti tu? Erano le dieci di sera. Le stelle scintillavano di un fulgor singolare. E le acque si movevano a pena, con dolcezza.
Dov'eri ? Che pensavi ?
I ricordi non ti soffocavano ?
Addio. Amami. Io ti amo; io mi sento così male che non reggo più; io darei, per averti, il miglior sangue del mio cuore.

Gabriele D'Annunzio, Lettere a Barbara Leoni, ES, Milano, 2008.

giovedì 7 gennaio 2010

In morte di N. G.

In morte di Nada Giliberti
Tutto ‘l mondo, da quando un c’è più N.
è come una ruota senza ‘l battistrada
come ‘n cavallo senza la su’ biada
è come Siena senza ‘na contrada

come Las Vegas senza più ‘l Nevada
pare ‘na gippe andata andata foristrada
sembra un prado privo di rugiada
o ‘l Bartezzaghi senza una sciarada

E ‘l ricordo no, no, non si dirada
che dovunque ti giri o te ne vada
pare un ci sia più nulla che t’aggrada

l’unica cosa da tenere a bada
sperando che la mente ti pervada
e che è lassù che c’indica la strada

sabato 2 gennaio 2010

Parole di uno scultore ai suoi allievi


Io non so alcuna cosa, all'infuori dell'esercizio dell'arte, che possa meglio giovare a un giovane scultore, che una visita a quelle stupende Alpi Apuane. Quivi tutto parla della magnificenza, della nobiltà e della terribilità di questa materia, in cui noi siamo chiamati a immettere lo spirito vivificatore. Tutti ivi è grande e aspro e solenne. L'aspetto delle montagne biancheggianti, gli immani blocchi giacenti, il rombo delle mine e il picchiar vasto del martelli, i cumuli di immensi detriti che danno visibile testimonianza dell'antichità delle cave, della millenaria fatica che l'uomo vi ha durato attorno. La razza stessa degli alpigiani che vi faticano è singolare: maschia e tenace come i prossimi liguri, ma già raggentilita dal buon garbo toscano. Io non so dimenticare la grata impressione che mi fece la prima volta quel loro aspetto grave e pacato, e quel loro così schietto "buongiorno" con cui ad ogni incontro mi salutavano.
Una mirabile divisione di lavoro, un ordine esatto, una calma operosa, regnano nell'apparente caos che investe tutta la montagna. V'è il dirigente tecnico, il dirigente meccanico, il cavatore, il minatore, il dirozzatore del blocco - e chi ha cura dei ferri, chi della manutenzione della ripida strada per cui si fan slittare i grandi monoliti. Questi, che non di rado raggiungono i cinquecento quintali, sono smossi a mezzo di giganteschi martinetti e ciclopiche leve, e così legati su solidissime slitte di travoni; le quali poi assicurate a grossi canapi che si attorciglian via via a gagliardi piuoli fissati lungo la strada a 30-40 metri, vengon calate giù al piano. Questo lavoro non si effettua senza pericoli. Del resto, il solo inerpicarsi sulla montagna per quelli scarsi sentieri scavati nella roccia, è ardua cosa. Tutto colà ha qualcosa di immane e di eroico. Né io vi dico per smania di falso lirismo; ma per farvi intendere tutta la grandiosità, la nobiltà di questo sforzo umano che voi siete chiamati a coronare e a giustificare con la vostra opera spiritualizzatrice. La quale pertanto dovrà esser degna di tanto arduo e travaglioso principio. Lasciatemi ricordare l'episodio di certo nostro collega (ch'io conosco bene), il quale, giovane, mentre attendeva trepidante nel suo studio il trasporto del suo primo blocco di marmo da cui doveva cavare certa statua lungamente meditata, udendo fuori l'aspra fatica dei carradori che frustavano i cavalli, sentiva i suoi occhi empirsi di lagrime pensando se alla fine il suo lavoro trasformatore - l'opera sua d'artista - avrebbe francato il dispendio di tanto sforzo umano e animale.
Il blocco, nella sua primiera forma, ha sempre una sua evidente parentela con la maestà della montagna; parentela che è troppe volte guasta dall'inconsulto e frivolo lavoro dell'uomo. Sicchè si può ben dire che la bella materia era più vicina all'arte quando l'aveva appena partorita la materna montagna, sussidiandola il rustico alpigiano, che non dopo che vi mise la mano il cittadino "artista".

Wildt, A., L'arte del Marmo, Abscondita, Milano, 2002