martedì 30 giugno 2009

1000 words

Ci sono i saturnini ed i gioviali. I retrospettivi ed i proiettivi. I reazioniari ed i rivoluzionari.

I primi, influenzati dal sesto pianeta, hanno umore cupo, triste, incline alla melancolia; i secondi, governati invece dal quinto, hanno carattere aperto, allegro, cordiale.

I primi si voltano indietro a guardare la strada percorsa, a rimpiangerla a rammaricarsene. I secondi guardano fiso (sic) alla meta, attendono il futuro, sono speranzosi.

Per capire se qualcuno appartiene alla prima od alla seconda categoria è utile esperimento osservare con attenzione i suoi favoriti di Flickr. Non mi dilungo a spiegare cosa sia Flickr e tantomeno quali caratteristiche abbiano i favoriti. I miei lettori già lo sanno. Gli altri clicchino qui e/o qui.
Dalle fotografie scelte come favorite, appunto, si identifica con una certa esattezza il fenotipo di chi le ha selezionate.

Provatevi ad immaginarvi una serie di scatti che ritraggano sguardi dalla finestra, passeggiate verso l'avanti, lunghe prospettive in fuga verso l'infinito... Niente di più aperto. Si guarda il futuro, gli si va incontro, lo si abbraccia tutto con lo sguardo. By Jove !

E pensate invece ad un album di sculture polverose, di monumenti del passato, di vecchie glorie. Un album la cui prima foto ritrae un manichino che alza le mani davanti agli occhi per non vedere la luce radiosa dell'avvenire. Ecco lo spirito saturnino che s'impone.

Si impara molto da Flickr. Specialmente a guardare con occhio clinico i propri favoriti. E magari si trae anche uno stimolo per cambiare e per dirigere i propri passi dalla parte assolata della strada.

[Dio 'l vogli ! Avrebbe detto E.]

martedì 23 giugno 2009

Saturnino


- E che palle, sempre con le sòlite rotture, con i testi copiati da altri libri, con pizze interminabili che non fan divertire nessuno. Ma perchè non scrivi qualcosa di tuo, qualcosa di divertente, qualcosa che faccia valer la pena di tornare qui a leggere i futuri post ?

- Ma abbiate pazienza, ma se ho titolato questo blog Solus ad Solam per significare che scrivo di me a me stesso, se tratto questa pagina elettronica come se fosse un foglio del mio taccuino, se non guardo nemmeno più le statistiche per vedere chi mi visita (bugiardo) ...

- Va bene, ma allora mettilo privato, toglilo di torno, non star lì ad imporlo a quei tre gatti che hanno la bontà di venire a vedere quel che scrivi. Pare che tu voglia per forza impressionare, che tu ti diverta a far vedere quello che leggi, che tu scriva per l'opinione degli altri, altro che per te stesso.

- Oh, abbi pazienza, ma uno potrà scrivere quel che gli pare, o no ? Se non ti va bene, aria, via, sòrti di torno. Leggiti il Giannelli, o BeppeGrillo, o too, ma non impedire a me di scrivere quel che voglio. Che poi sono a corto di idee, non ho spunti, mi vien subito a noia quel che comincio. Oggi m'han persino dato un suggerimento, m'han detto di scrivere del 6, del mio numero d'elezione.

- E te ? Quello poteva essere un bell'argomento, sono degli anni che la meni con quel 6, ne avrai di cose da dire ! Tutto 6, tutto 6, tutto 6, e allora ?

- Allora nulla, non scrivo del 6. Sono cose troppo delicate. Altro che 6. Non sono pronto a dare in pasto i miei segreti a chi, oltretutto, rischia di leggerli per caso grazie ai risultati di una ricerca fatta su Google. Senti, se ti va, leggi la poesia di Giordano Bruno che ricopio qui di seguito, sennò cambi pagina, va bene ? Del resto anche Gianburrasca copiava sul suo giornalino gli scritti della sorella Ada. Oh !



Un alan, un leon, un cane appare
All'auror, al dì chiaro, al vespr'oscuro
Quel che spesi, ritegno, e mi procuro,
Per quanto mi si diè, si dà, può dare.

Per quel che feci, faccio ed ho da fare,
Al passato, al presente ed al futuro
Mi pento, mi tormento, m'assicuro,
Nel perso, nel soffrir, nell'aspettare

Con l'agro, con l'amaro, con il dolce
L'esperienza, i frutti, la speranza
Mi minacciò, m'affliggono, mi molce.

L'età che vissi, che vivo, ch'avanza,
mi fa tremante, mi scuote, mi folce*,
In absenza, presenza e lontananza.

Assai, troppo, a bastanza
Quel che di già, quel che di ora, quel che d'appresso
M'hanno in timor, martir e spene** messo

Giordano Bruno, Opere Italiane, a cura di Giovanni Gentile, Laterza, Bari, 1908.

* Folcire, verbo latino, puntellare. Lat. fulcire, qui reggere e sostenere.
** Spene, usato in rima in vece di speme.

giovedì 18 giugno 2009

Appunti

"... fin dai tempi più antichi [...] l'arte funeraria ha manifestato le credenze metafisiche dell'uomo in modo più diretto e più inequivocabile di qualsiasi altra forma di espressione artistica.
Gli antichi egizi desideravano provvedere al futuro del morto, anzichè glorificarne la vita passata. Le statue ed i rilievi funerari [...] avevano lo scopo di provvedere l'estinto di tutto quanto gli fosse necessario nell'oltretomba. [...] L'immobilità stessa delle statue egizie testimonia del fatto che non avevano lo scopo di ritrarre un essere umano dotato di vita propria, ma di ricostruire per sempre un corpo umano che attendeva di essere rimesso in vita da una potenza magica.
I greci, più preoccupati della vita sulla terra che della vita nell'al di là, ed avvezzi a bruciare i loro morti anzichè mummificarli, rovesciarono questa concezione. [...] E l'arte sepolcrale divenne, conseguentemente retrospettiva e rappresentativa, mentre l'arte sepolcrale egizia era stata pro-spettiva e magica.
[...] Col declino della civiltà classica [...] l'arte funeraria tornò a focalizzarsi sul futuro anzichè sul passato. Ma il futuro veniva ora concepito come piano di transizione ad un piano di esistenza del tutto diverso, e non come pura continuazione della vita sulla terra. [...] La vita eterna era garantita dalla fede e dalla speranza, anzichè dalla magia, e veniva concepita non come perpetuazione della personalità nella sua completezza, ma come ascensione dell'anima immortale."

Panofsky, E., Studi di iconologia, Einaudi, Torino, 1975.

martedì 9 giugno 2009

Clof, clop, cloch

Se dai lidi di Versilia polla fresca e vivace l'inesausta fontana di D., nella conca arsa ed amara di Firenze ristagna e pute un marcio putridume.

E sì che in potenza avrei molte cose da raccontare: il viaggio in Sicilia per il matrimonio di O., le tensioni e le tenzoni lavorative, le spigolature dal seggio elettorale che ho presieduto...

Ma sono stanco, ed ho sonno. Forse domani. Vedremo.

venerdì 5 giugno 2009

Cianciana Rock City

In risposta all'amica G. che si chiede quali siano le virtù di Cianciana (e dichiara la propria curiosità di vedere alcune fotografie del posto) scrivo con chiarezza che non ho scatti da esibire nè riprese di alcun genere da mostrare. Sarebbero non solo superflui, ma persino contrastanti con il genius loci, che rifugge da ogni forma di tecnologia e di comunicazione.

Cianciana è un luogo dell'anima, dello spirito, della mente, lontano dal mondo e dalle sue tentazioni. Circondato da una campagna intatta, tale e quale a quella che vide Lucio Cincio Alimento (l'antico romano che fondò il paese), immutata dai tempi delle invasioni arabe e normanne.
Inutile andare a visitarla con la speranza di trovarvi qualcosa di speciale da vedere, da fare, da organizzare. Si va a Cianciana come in pellegrinaggio, per guardare dentro di noi e scoprire il gusto della vera civiltà. Per rendersi conto di quanto siano orientate le nostre decisioni e di quanto siano già prese - in realtà - le nostre apparenti scelte. Per capire quanto falso sia il mondo che ci circonda, se comparato con quella inarrivabile normalità.

Ecco, sì, ora capisco quale sia il pregio di Cianciana: la sua normalità. Lì le pesche sanno di pesche, il gelsolmino profuma di gelsomino, il vino sa di vino. Lì la carne è morbida (non tenera, per carità, morbida), la ricotta è calda, il pesce vivo. Lì una stretta di mano vale un contratto, uno sguardo dice più di mille parole, un silenzio è più eloquente di una concione. Lì un minuto dura proprio un minuto, l'acqua è davvero un bene prezioso e il vento porta con sè il profumo del mare. Le cose, insomma, sono fatte come Dio comanda.
Ecco lo slogan adatto: a Cianciana Dio comanda.

Cianciana è un paese di cent'anni fa e conserva intatta quell'idea di pace, di serenità, di normalità che le nostre cittadine versiliesi hanno perso da molto tempo. E' il posto più simile a quello dove hanno vissuto i miei antichi. E' la Querceta che hanno visto i miei maggiori.

Tant'è.