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lunedì 28 novembre 2016

In memoriam A. P.

"Misericordia!" gridavino 'ggrilli
quando gli prese fòco la capanna.
Ce n'era di quelli, piccini piccini,
che gridavino "Oddiomamma! Oddiomamma!"
Ci andò una vecchia per iscompartilli,
brugiò la vecchia, la capanna e 'ggrilli.


A.P. 25.XII.1929 - 28.XI.2016

domenica 10 gennaio 2016

Apuani

[...] il nostro popolo è architetto degli altari di Dio nel mondo ed è popolo bestemmiatore, è feroce fino ad accoltellarsi in rissa, e canta in rima e si commuove.

Pea, E., Maggio in Versilia e in Lunigiana, Sarzana, Marco Carpena Editore, 1954.

Ed ora anche in Pautasso, G. A., Versilia Futurista. Dalla 'Repubblica di Apua' alle scorribande di Marinetti e dei futuristi in Versilia, Pietrasanta, Franche Tirature, 2015.

martedì 29 dicembre 2015

Ioboia

Ci ritrovo il linguaggio e il modo d'essere e di fare di casa mia, dove sembra che ci si odi tutti, mogli e mariti, fratelli e sorelle, babbi e figlioli, per il gran timore che sempre si ha di cascar nel tenero e di degenerare nello sciroppo. Al pari della nostra cucina, i nostri sentimenti ignorano il burro.

Montanelli, I., Settecervelli, ora in Gli incontri, Milano, Rizzoli, 1961.

martedì 10 marzo 2015

Gli alberi sacri alla mia infanzia

Cinque marzo. Vorace fortunale
tremendo come sabba delle streghe.
E poi per giorni e giorni in aria sale
l'inesausto ronzar di motoseghe.

lunedì 7 aprile 2014

Diavole

C’era una volta un di quei soliti falsi romiti tutti gola e tutti pancia, che spesso andava a far visita a un suo conoscente. Era una buona posta, perché a qualunque ora capitasse, gli dava da mangiare; e per bere poi gli empiva una bella lucia*, di quelle che ora si tengono perle cantine, sempre la solita, una buona dose di vino, perché un boccale lo teneva sì come di sì, e forse anche qualcosina vantaggio.
Questa lucia laggiù nel fondo, dalla parte di dentro, ci aveva un Gesuino dipinto; era fatto alla meglio e alla peggio, ma si riconosceva subito per un Gesù.

Il romito dunque s’attaccava alla bocca la lucia con certe succhiate da vero tedesco, e diceva tutto intenerito: “O bone Jesu, quando te videbo!” E non c’era pericolo che passasse una volta senza che vedesse il fondo. Dàgli oggi dàgli domani, a quell’altro gli venne a noia di aver sempre lì quel buzzo sfondato e pensò come poteva fare per allontanarlo. E che ti stilla? Comprò un’altra lucia compagna, ma nel fondo ci fece dipingere un diavolo, un bruttissimo diavolo con tanto di corna, e la prima volta che ritornò il frate, invece di mettergli davanti quell’altra dal Gesuino, gli ci mise questa. L’omo se ne andava giù giù beendo con certi occhi lustrenti, e diceva ogni po’ poino: “O bone Jesu, quando te videbo! O bone Jesu, quando te videbo!” quando tutto a un tratto, invece di scoprire il Gesù, scoperse il diavolo! Dice: “Al buon Gesù un po’ gliene lasciavo, ma a te nulla! Neanche un goccio!”. E l’asciugò come se uscisse allora di fornace. Ci fece un bel guadagno quell’altro a mutar lucia!

* Recipiente di terracotta. Nelle campagne livornesi e pisane, vaso di terracotta con un manico ed un beccuccio per travasare il vino.

NIERI, I., Cento racconti popolari lucchesi, Livorno, Giusti 1906.

martedì 18 settembre 2012

Bagno Assunta


Tra le mille e mille ragioni che rendono Forte dei Marmi, ed in particolare il suo Bagno Assunta, un luogo indimenticabile ve ne sono un paio che meritano speciale attenzione.

La prima, condivisa con le altre località balneari, riguarda il costume da bagno. Sì, proprio quello. L’unico strumento in grado di imporre a tutti, comunque la pensino, una forzata condizione di parità. Non ci sono avvocati, ingegneri, imprenditori, né marchesi, conti o principi di sorta. Tutti siamo in costume da bagno, ed ognuno col proprio fisico più o meno rimesso in forma per l’estate. Tutti costretti a fare i conti con l’egualitarismo balneare imposto dal bikini o dal pantaloncino da surf. Questa, che a prima vista pare una banalità, è invece un elemento essenziale per la buona riuscita della vacanza: non c’è da mantenere - né tantomeno da fingere - uno status sociale diverso dal proprio; siamo tutti quello che siamo, con le nostre pancette e gli inestetismi della cellulite, finalmente liberi di gettare la maschera che indossiamo ogni giorno, d’inverno, prima di uscire di casa.

E vi par nulla, a voi.

La seconda è invece quasi del tutto esclusiva del Bagno Assunta e riguarda il modo di considerare e di trattare i bambini. Se altrove è vietato giocare alla palla, qui c’è - appena si entra - un campo da pallavolo apposta per loro. Se in certi bagni non si possono fare buche se non in riva al mare, qui talvolta vengono scavati degli enormi crateri sotto l’ombrellone che quasi quasi ci starebbe dentro un carrarmato. Se - infine - in tutta la Versilia è fatto espresso divieto di tirare i gavettoni, tanto che in passato sono dovute intervenire persino le forze dell’ordine, qui all’Assunta le bombe d’acqua sono un rituale irrinunciabile del ferragosto al quale dà il via la Gloria in persona, utilizzando una sistola per bagnare tutti: bimbi, clienti, avventori … chiunque le passi davanti.

E vi par nulla, a voi.

E’ insomma questo sovvertimento dell’ordine sociale, questo paese dei balocchi per adulti e piccini, questo questo carnevale che ci fa insanire non semel in anno, ma per tutta la stagione, ad attrarci regolarmente verso il civico 11 di via Arenile.

Sì, d’accordo, ci sono anche i vicini d’ombrellone, gli amici che ricontriamo con piacere dopo tanto tempo, le facce più o meno conosciute dei venditori ambulanti che ci riconoscono anno dopo anno. Ma quelle sono il contorno, il rinforzo, la decorazione. Così come la rena arsiccia, il mare ed il tramonto settembrino. Tutte belle immagini, per carità, ma che si possono trovare, con un po’ di fortuna, anche altrove. Ci vogliono, non dico di no, ma costituiscono a ben vedere una quinta entro le quali si muovono i personaggi principali, senza i quali lo spettacolo non potrebbe esistere.

Tanto che, persino in inverno ci capita, quando torniamo al Forte dei Marmi, di fare un salto a trovare la Gloria e Nemo. Perché loro fanno parte della nostra famiglia, sono i custodi dei nostri ricordi più spensierati, sono stati e continuano ad essere il punto di riferimento per quelle fortunate generazioni che come noi hanno eletto l’ultima Versilia a luogo dell’anima. 

E vi par nulla, a voi.

martedì 1 settembre 2009

I dì protrar torpidi


Il primo fine settimana a Formentera, l’altro una puntatina a Cap Ferrat a casa del Cinci, Ferragosto in campagna perchè fa troppo caldo e l’ultima d’agosto in Sardegna che lì il mare è impareggiabile.

Ma che, le chiamate vacanze queste ? O balordi !?! La vera vacanza l’ho fatta io. Altro che storie.

Orario d’ufficio, con straordinari, al Bagno Assunta di Forte dei Marmi: cartellino d’entrata timbrato alle 09.30 e rientro a casa non prima delle 20.30. Giornate indimenticabili passate a far poco e nulla. Altro che storie.

Giulio che ci svegliava affamatissimo verso le sette e mezzo, rapide operazioni di vestizione e via dalla Nicolina a comprare un chilo e mezzo di schiacciata. Con i semi di girasole, ai cereali, con i pistacchi, in ognuna delle varianti proposte dalla premiata forneria Bertozzi.

Poi basta. Fine della giornata. Nient’altro da fare. Altro che storie. Quello della schiacciata era l’unico impegno - fisso ed improrogabile - della giornata. Il resto era lasciato all’occasione, all’evenienza, all’incertezza. Telefono spento ed email solo per cinque minuti la sera. Chi ci voleva ci trovava sotto l’ombrellone.

E ci hanno trovato in tanti, a dire il vero. La mia sorella quasi ogni giorno per il pranzo; Nada e Paolo un paio di volte a gustare i pranzi sotto il capanno della Gloria; Lidia con il signor Christian e Valentina per un pomeriggio di mare rubato alla noia; Cosimo per un mordi e fuggi da Firenze; la Dania con quasi tutta la truppa, e molti altri che mi scuseranno per non averli qui menzionati.

E poi ? E poi grandi dormite sotto l’ombrellone conciliate da letture più o meno scelte, da ostiche definizioni de La Settimana Enigmistica (il passatempo più sano ed economico) da chiacchiere da spiaggia con la signora Marisa.

Ma oltre a quello, per carità, quasi dimenticavo, abbiamo riesumato dal bagaglio delle nostre esperienze di fanciulli il meraviglioso passatempo della pista per le palline. Anzi, mi correggo, il Giuoco delle Biglie da Spiaggia, per il quale - allo scopo di sedare gli acri litigi tra i partecipanti - abbiamo persino redatto un apposito regolamento in triplice copia. Altro che storie.

E l’abbronzatura ? Invidiabile, grazie. Dovuta alle molte ore passate a cercar reginelle, a sciacquettarmi nel mare con Giulio avido di tuffi, a lunghe conversazioni con la ciurma dei bagnini. Macchè lettini, macchè olio solare, macchè protezione 50. Noi fortemarmini con più di trent’anni non ci siamo mai sbiaccati di crema presole, postsole, emolliente. Altro che storie. Pellaccia ruvida e spellata, peli sbionditi dal sole, acqua salata come tonico rinfrescante. Al massimo una sciacquata sotto la doccia fredda. Come dicevo. Altro che storie.

E l’ultimo giorno passato in riva al mare, con lo sguardo fisso all'albasia dei giorni alcionii, senza batter ciglio, senza altro guardare.

Perchè tra qualche mese, nelle sere pungenti e piovose d’inverno possa rivedere, tra i grilli del focolare, quel sole caldo che tramonta, quel luccichìo a pelo d’acqua, quell’orma sulla sabbia che bagnata dall’acqua riluce.

Altro che storie.

lunedì 11 maggio 2009

Campani(n)ismo

[...] Quegli che si dimandano campanini sono quella sorte di marmi che suonano quando si lavorano et hanno un certo suono più acuto degli altri; questi son duri e si schiantano più facilmente che l'altre sorti suddette e si cavano a Pietrasanta.


Vasari, G., Le vite de' più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri, Torrentino, Firenze, 1550

sabato 3 gennaio 2009

Hic manebimus optime


Anche quando sono digiuno di Caol Ila, e quindi le mie riflessioni non hanno innanzi la foschia della torba di Scozia, provo sempre un livido rancore nei confronti del Barone di Ferro. 

Dobbiamo infatti a quell'improvvido statista la fine del Granducato di Toscana e la consegna della nostra terra a quei criminali capaci solo di trascinarci in guerre perse (o vinte per modo di dire).

Qui c'è tutto: mare (isole comprese), montagne innevate, colline, pianure ubertosissime, fiumi e laghi. C'erano più di trenta miniere in grado di fornire rame, ferro, piombo, argento e chissà cos'altro, ed è tutta Toscana la redazione del primo codice in materia, la lex mineraria risalente al XIII secolo. Non parliamo poi delle cave di marmo, per carità, che non hanno eguali.

Qui Marsilio Ficino ha rifondato la filosofia, Leon Battista Alberti l'architettura, Guido d'Arezzo la musica, Luca Pacioli la geometria, per l'arte non c'è bisogno di far nomi, per la poesia nemmeno, per il diritto basti ricordare l'abolizione della pena di morte già dalla fine del Settecento. Qui Galileo ha gettato le basi del moderno metodo scientifico, da qui si sono osservati i primi pianeti, da qui Fibonacci ha importato la matematica araba ed ha insegnato persino a Federico II. Qui, tra le mille altre cose che mi sfuggono, è stato realizzato il primo orto botanico del mondo.

Pensare a quel nano baffino che ha ceduto il nostro territorio in mano a quella razaccia di assassini mi rende sempre di pessimo umore.

Che qui, tra di noi, saremmo stati bene.


[Per inciso: questo post non mi piace, e non l'avrei pubblicato se non per rompere il silenzio che mantengo dal 24 decembre scorso]

martedì 23 dicembre 2008

Dei limoni gravidi di Pietrasanta


Giovan Battista Ferrari , senese di nascita e romano d'adozione, fu un padre gesuita già professore di ebraico al Collegio Romano. La sua eccezionale passione per l'orticultura lo mosse a divenire consigliere botanico della famiglia Barberini ed a pubblicare uno dei più straordinari testi sull'argomento: De Florum Cultura Libri Quatuor, uscito a Roma coi caratteri di Stefano Paolini nel 1633 e subito versato in italiano già nel 1638 col titolo Flora ovvero cultura dei fiori, sempre a Roma per i tipi di Pier Antonio Facciotti*

Ma a noi più che il De Florum Cultura interessa una sua opera successiva: Hesperides sive de Malorum Aureorum Cultura et Usu Libri Quatuor, Roma, Herman Scheus, 1646,  ex typographia Vitalis Mascardi. E ci interessa non tanto perchè precoce esempio d'opera scientifica redatta col metodo galileiano dell'osservazione diretta, quanto perchè in essa si tratta, e vengono fedelmente illustrati, i celebri limoni gravidi di Pietrasanta.

Si, avete letto bene: i limoni gravidi hetrufcus Petræ fanctæ ager, ossia una cultivar di limoni detta cedrina caratterizzata dal contenere entro il frutto altri frutti più piccoli, quasi come se fosse una matrioska.

Ma lasciamo che a parlarcene sia il Ferrari:

La terra etrusca di Pietrasanta, confinante con la Liguria, genera con l'appellativo di cedrino il più prelibato e dolce dei limoni, quanti ce ne sono, nato dall'innesto (come dicono) del cedro, che per il suo profumo e per la natura simile viene chiamato cedrato. [...] E' pur vero che nell'estrema Etruria la campagna adiacente alla città di Pietrasanta, straordinariamente fertile per il tiepido soffio del vicinissimo mare, genera limoni cedrati quasi sempre pieni di altri limoni. [...] In qualcuno di essi [...] appare un altro limone più interno e se questo mezzo viene tagliato, dopo la buccia dorata e la polpa bianca, si presenterà un midollo bianchiccio, non di rado un terzo frutto, avvolto dall'embrione. Persino dall'incisione aperta dell'ultimo frutto qualche volta si osserva una covata compatta di piccoli limoni.

Con questa idea, che spero susciti la vostra curiosità al pari di quanto ha stimolato la mia, e con l'augurio di poter gettare nella fiamma ardente del vostro caminetto una scorza del cedrino di Pietrasanta così da profumare l'ambiente e render più vivi i grilli del focolare, vi porgo con sincerità the compliments of the Season.


Ferrari, Gio. Batta, S.J., Hesperides sive de Malorum Aureorum Cultura et Usu Libri Quatuor, Liber Tertius, Limon citrato primæ notæ, Cap. XIX, pp. 263, Roma, Herman Scheus, 1646.

Freeberg, D., Ferrari and the pregnant lemons of Pietrasanta, in: Il Giardino delle Esperidi. Gli agrumi nella storia, nella letteratura e nell'arte, Visentini, Firenze, Edifir, 1996, pp. 41-58.


* Chi fosse interessato a questa edizione ed alle magnifiche incisioni ad opera di Guido Reni e Pietro da Cortona, sappia che ne esiste una anastatica per merito della casa editrice Leo S. Olschki nella collana Giardini e Paesaggio.

lunedì 22 dicembre 2008

Villeggianti

Forte dei Marmi vantava, almeno un tempo, il primato del cosiddetto turismo d'élite. Mi diverte pensare d'aver trovato, nell'archivio mediceo avanti il principato uno dei primi esempi di villeggiatura d'alto livello.

[...] Il Duca [Cosimo I] fu tutto hierj alle miniere [di Pietrasanta], dove chi vole andare e' forza mirare dove sj pone lj piedi, chj non vole precipitare, il che fu causa che la Duchessa [Eleonora di Toledo] e il Campana, che s'erano inviatj per quella volta, non si conducessero lassù, ma in quel cambio consumoreno tutto il giorno su per il litto del mare. Questa mattina loro Ex.tie sono cavalcate verso il mare per fare oggi una pescha [...]

Fiorentini al mare ce ne sono sempre stati, e forse ce ne saranno ancora, ma questi sono davvero i loro progenitori. Basti considerare che la lettera è datata 23 decembre 1542. Come fosse domani.

Tant'è.

giovedì 6 novembre 2008

An apple a day

Quando morì il povero Sem Ghelardini, il comune di Pietrasanta fece stampare un poster sul quale, oltre l'immagine, c'era scritto: "Di quali sei te ? Che bevi ?". Frase d'esordio, ice breaker, del compianto scultore versiliese. Ecco, ora gli rispondo.

Io sono di quelli del Melaio.

Pea. E., Arie Bifolchine, Vallecchi, Firenze, 1943.

mercoledì 5 novembre 2008

Proto

Lunedì mattina (che non lavoro) e nelle pause pranzo (come ora che è il tocco e mezzo) ho riguardato le bozze di un nuovo dizionario che uscirà entro la fine dell'anno. Non sono molto d'accordo col metodo scelto per l'elencazione delle parole, ma essendomi stato chiesto solo di correggere gli eventuali errori di stompa, limito il mio intervento a quanto strettamente necessario.
Tre giorni di full immersion nel nostro dialetto versiliese mi hanno rimesso al mondo. Credo che sia stato buffo sentirmi parlare, qui a Firenze e in questi giorni, con una dovizia di vocaboli presi dal nostro lessico.
In coda al dizionario c'è un elenco di filastrocche, modi di dire e proverbi. Ve ne lascio tre che mi hanno particolarmente divertito:

"Arosto c'un ti tocca, lascilo brugià"

"Chi vòle 'mpara' a bestemmia', porti tre legni senza legalli"

"E' méglio pióvi óggi che ne le méglio giornate"

Quest'ultimo attribuito all'indimenticabile Silvano Alessandrini.

lunedì 22 settembre 2008

Par - naso

Aggiungo alla citazione di Scipione Ammirato (v. supra 15 settembre 2008) una poesia del pisano Gio. Dom. Anguillesi.

Mi diverte la descrizione del Lago di Porta prima della bonifica ed anche il fatto che torni l'idea del Salto della Cervia come finisterre della civiltà.

Al Forte detto
Il Salto della Cervia


Rocca insalubre, che solinga e mesta
Siedi al piè di scoscesa alpe infeconda,
E di Marte stranier dall'ira infesta
L'occidental difendi etrusca sponda:

So ben che il raro abitator detesta
L'impuro aere letal che ti circonda,
E l'assidua cicala, e la molesta
Rana gracchiante nella fetid'onda.

Ma che? qual mai vezzosa ninfa o Dea
Per le scabre tue mura i passi or muove,
E a me l'occhio digiun molce e ricrea?

Salve, o Rocca felice! In ogni dove
Dolce tu a me sarai gradita idea;
Per te l'Olimpo or non invidio a Giove.


Anguillesi, G.D., Poesie di Gio. Domenico Anguillesi / Pisano, Dalla nuova tipografia, Pisa, 1807.

giovedì 11 settembre 2008

Omnia auxilianter Maria

Per qualche ragione a me ignota, i miei maggiori decisero di identificarsi nell'emblema della cerva che salta d'un balzo un monte roccioso.

[Mi viene in mente la frase "Ma la volpe col suo balzo ha raggiunto il quieto fido", che per alcuni traduce perfettamente "The quick brown fox jumps over the lazy dog", ma questa sarebbe un'altra storia e - semmai - la racconterò in un altro momento].

Per mio conto ho quindi sempre ricercato con interesse le varie versioni della storia che ha dato origine al toponimo "Salto della Cervia"; una località ai confini estremi della Versilia, se non della Lucchesia, se non della Toscana, se non ...
Di seguito la versione che ne dette Scipione Ammirato:

L'etimologia di Salto della Cervia si vuole che abbia per origine un miracolo accaduto a un cacciatore che perseguitando in quei boschi e monti una Cerva, e ridottala in angustia tale da non poter fuggire la morte disse: "adesso non ti può salvare nè Dio, nè la Madonna". Ma ad un tratto precipitossi la Cerva dall'alto monte nel piano senza farsi male alcuno, e lasciò nella dura pietra sopra la quale era caduta impressa la figura dei suoi piedi, per il che fu edificata una chiesa, e dedicata alla Vergine Madre, col pronome di Salto della Cerva. Così sono le tradizioni di quei tempi.

Ammirato, S., Istorie Fiorentine di Scipione Ammirato... con l’aggiunte di Scipione Ammirato il giovane, Massi, Firenze, 1641-1647.