E' noto come Totò fosse fiero dei suoi titoli onorifici, del suo blasone e delle origini nobili che poteva vantare; tanto che si battè persino legalmente per potersi fregiare dei seguenti patronimici:
Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cicilia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.
Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cicilia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.
Ma in una poesia, scritta proprio in occasione della odierna ricorrenza, egli ribaltò completamente la situazione, con una leggerezza ed un virtuosismo propri del genio. Io ritengo - per quanto possa valere la mia idea - questa sua composizione una tra le vette raggiunte nella sua vita, e forse financo la più alta. Sarà perchè ammiro negli altri i capovolgimenti ed i cambi di prospettiva dei quali io non sono capace.
Ecco, scritto questo, vi prego di considerare il presente post un omaggio verso la pietà dei defunti, ed il mio requiem aeterna per chi vi guarda di lassù.
Tant'è.
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