C’era una volta un di quei soliti falsi romiti tutti gola e
tutti pancia, che spesso andava a far visita a un suo conoscente. Era una buona
posta, perché a qualunque ora capitasse, gli dava da mangiare; e per bere poi
gli empiva una bella lucia*, di quelle che ora si tengono perle cantine, sempre
la solita, una buona dose di vino, perché un boccale lo teneva sì come di sì, e
forse anche qualcosina vantaggio.
Questa lucia laggiù nel fondo, dalla parte di dentro, ci
aveva un Gesuino dipinto; era fatto alla meglio e alla peggio, ma si
riconosceva subito per un Gesù.
Il romito dunque s’attaccava alla bocca la lucia con certe
succhiate da vero tedesco, e diceva tutto intenerito: “O bone Jesu, quando te
videbo!” E non c’era pericolo che passasse una volta senza che vedesse il
fondo. Dàgli oggi dàgli domani, a quell’altro gli venne a noia di aver sempre
lì quel buzzo sfondato e pensò come poteva fare per allontanarlo. E che ti
stilla? Comprò un’altra lucia compagna, ma nel fondo ci fece dipingere un diavolo,
un bruttissimo diavolo con tanto di corna, e la prima volta che ritornò il
frate, invece di mettergli davanti quell’altra dal Gesuino, gli ci mise questa.
L’omo se ne andava giù giù beendo con certi occhi lustrenti, e diceva ogni po’
poino: “O bone Jesu, quando te videbo! O bone Jesu, quando te videbo!” quando
tutto a un tratto, invece di scoprire il Gesù, scoperse il diavolo! Dice: “Al
buon Gesù un po’ gliene lasciavo, ma a te nulla! Neanche un goccio!”. E
l’asciugò come se uscisse allora di fornace. Ci fece un bel guadagno
quell’altro a mutar lucia!
* Recipiente di terracotta. Nelle campagne livornesi e pisane, vaso di terracotta con un manico ed un beccuccio per travasare il vino.
NIERI, I., Cento racconti popolari lucchesi, Livorno, Giusti 1906.
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