sabato 3 gennaio 2009

Hic manebimus optime


Anche quando sono digiuno di Caol Ila, e quindi le mie riflessioni non hanno innanzi la foschia della torba di Scozia, provo sempre un livido rancore nei confronti del Barone di Ferro. 

Dobbiamo infatti a quell'improvvido statista la fine del Granducato di Toscana e la consegna della nostra terra a quei criminali capaci solo di trascinarci in guerre perse (o vinte per modo di dire).

Qui c'è tutto: mare (isole comprese), montagne innevate, colline, pianure ubertosissime, fiumi e laghi. C'erano più di trenta miniere in grado di fornire rame, ferro, piombo, argento e chissà cos'altro, ed è tutta Toscana la redazione del primo codice in materia, la lex mineraria risalente al XIII secolo. Non parliamo poi delle cave di marmo, per carità, che non hanno eguali.

Qui Marsilio Ficino ha rifondato la filosofia, Leon Battista Alberti l'architettura, Guido d'Arezzo la musica, Luca Pacioli la geometria, per l'arte non c'è bisogno di far nomi, per la poesia nemmeno, per il diritto basti ricordare l'abolizione della pena di morte già dalla fine del Settecento. Qui Galileo ha gettato le basi del moderno metodo scientifico, da qui si sono osservati i primi pianeti, da qui Fibonacci ha importato la matematica araba ed ha insegnato persino a Federico II. Qui, tra le mille altre cose che mi sfuggono, è stato realizzato il primo orto botanico del mondo.

Pensare a quel nano baffino che ha ceduto il nostro territorio in mano a quella razaccia di assassini mi rende sempre di pessimo umore.

Che qui, tra di noi, saremmo stati bene.


[Per inciso: questo post non mi piace, e non l'avrei pubblicato se non per rompere il silenzio che mantengo dal 24 decembre scorso]

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