sabato 2 gennaio 2010

Parole di uno scultore ai suoi allievi


Io non so alcuna cosa, all'infuori dell'esercizio dell'arte, che possa meglio giovare a un giovane scultore, che una visita a quelle stupende Alpi Apuane. Quivi tutto parla della magnificenza, della nobiltà e della terribilità di questa materia, in cui noi siamo chiamati a immettere lo spirito vivificatore. Tutti ivi è grande e aspro e solenne. L'aspetto delle montagne biancheggianti, gli immani blocchi giacenti, il rombo delle mine e il picchiar vasto del martelli, i cumuli di immensi detriti che danno visibile testimonianza dell'antichità delle cave, della millenaria fatica che l'uomo vi ha durato attorno. La razza stessa degli alpigiani che vi faticano è singolare: maschia e tenace come i prossimi liguri, ma già raggentilita dal buon garbo toscano. Io non so dimenticare la grata impressione che mi fece la prima volta quel loro aspetto grave e pacato, e quel loro così schietto "buongiorno" con cui ad ogni incontro mi salutavano.
Una mirabile divisione di lavoro, un ordine esatto, una calma operosa, regnano nell'apparente caos che investe tutta la montagna. V'è il dirigente tecnico, il dirigente meccanico, il cavatore, il minatore, il dirozzatore del blocco - e chi ha cura dei ferri, chi della manutenzione della ripida strada per cui si fan slittare i grandi monoliti. Questi, che non di rado raggiungono i cinquecento quintali, sono smossi a mezzo di giganteschi martinetti e ciclopiche leve, e così legati su solidissime slitte di travoni; le quali poi assicurate a grossi canapi che si attorciglian via via a gagliardi piuoli fissati lungo la strada a 30-40 metri, vengon calate giù al piano. Questo lavoro non si effettua senza pericoli. Del resto, il solo inerpicarsi sulla montagna per quelli scarsi sentieri scavati nella roccia, è ardua cosa. Tutto colà ha qualcosa di immane e di eroico. Né io vi dico per smania di falso lirismo; ma per farvi intendere tutta la grandiosità, la nobiltà di questo sforzo umano che voi siete chiamati a coronare e a giustificare con la vostra opera spiritualizzatrice. La quale pertanto dovrà esser degna di tanto arduo e travaglioso principio. Lasciatemi ricordare l'episodio di certo nostro collega (ch'io conosco bene), il quale, giovane, mentre attendeva trepidante nel suo studio il trasporto del suo primo blocco di marmo da cui doveva cavare certa statua lungamente meditata, udendo fuori l'aspra fatica dei carradori che frustavano i cavalli, sentiva i suoi occhi empirsi di lagrime pensando se alla fine il suo lavoro trasformatore - l'opera sua d'artista - avrebbe francato il dispendio di tanto sforzo umano e animale.
Il blocco, nella sua primiera forma, ha sempre una sua evidente parentela con la maestà della montagna; parentela che è troppe volte guasta dall'inconsulto e frivolo lavoro dell'uomo. Sicchè si può ben dire che la bella materia era più vicina all'arte quando l'aveva appena partorita la materna montagna, sussidiandola il rustico alpigiano, che non dopo che vi mise la mano il cittadino "artista".

Wildt, A., L'arte del Marmo, Abscondita, Milano, 2002

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