Quando il cervello mi propone queste riflessioni finisco sempre per pensare alla mia morte come qualcosa che non mi riguarda. Non soffro per la mia dipartita, ma per gli altri, per quelli che rimangono. E poi comincio ad immaginare il mio funerale in pompa magna. Una camera ardente, cupa, con drappi neri alle pareti, illuminata solo da quattro ceri attorno al feretro, in sottofondo la messa da requiem (Op. KV 626), la gente seduta attorno su lunghe panche basse. Ma purtroppo non riesco mai ad immaginarmi le facce, non vedo mai chi c'è, chi manca, chi piange, chi chiacchiera, chi è fuori a fumare una sigaretta, chi prega.
Trasformo, insomma, il pensiero in una rappresentazione barocca, in un film, in una dansa macabra che finisce per farmi ridere e per compatirmi. Come diceva la canzone:
Son contento di morire, ma mi dispiace tanto
Mi dispiace di morire, ma son contento
Dev'essere un rigurgito di litio, o d'amore, che mi riporta a più dritto cammino.
P.S.
Trasformo in post quella che avvrebbe dovuto essere una email indirizzata a D., in questi giorni smarrita nelle tenebre. E la immagino di mattina presto, davanti al computer, vincere la ritrosia di scrivere su Google il nome della temuta patologia, premere invio, scorrere con l'occhio la lista di voci in blu sulle quali cliccare, ed iniziare una lotta intestina contro le informazioni lette. Stupidamente, con un misto di vanagloria, orgoglio e presunzione mi chiedo perchè non mi ha telefonato, perchè non mi ha chiesto un appoggio, perchè non si è confidata.
Come se avessi potuto fare qualcosa. Come se fossi lì. Come se anch'io ...
1 commento:
Carissimo, parlare dei fantasmi è portarli fuori dell'armadio.
Mentre l'appoggio, dagli amici, vien sempre, senza che loro si accorganano di darne. Questo è l'incanto.
:)
testa-vuota-d.
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