venerdì 30 gennaio 2009

Adversaria anatomica

Ieri sono stato - controvoglia - all'istituto di anatomia patologica dell'Università di Firenze. Dovevo andare a ritirare una copia di un vecchio referto da una professoressa che si è dimostrata gentile, cortese ed affabile. Bontà sua.

Lo sforzo che ho fatto - e, conoscendomi, ce n'è voluta - è stato ampiamente ripagato dalla visita al museo dell'istituto. Passeggiando per il corridoio ho notato che la porta era aperta e mi sono fatto accompagnare per una visita di straforo, saltando l'iter tortuoso previsto dall'amministrazione.
Nella collezione si ammirano, per chi sia interessato, una serie di mirabolanti cere raffiguranti le peggiori malattie e deformazioni del corpo umano. Persino - per gli amanti del genere - una cera a grandezza naturale raffigurante il cadavere di un lebbroso. Oltre, naturalmente, a scheletri di idrocefali, calchi di iperspadici, teste doppie su un corpo solo ed altre penosità inimmaginabili.

La raccolta ha un doppio pregio: da una parte mostra con chiara evidenza il vertice dell'arte ceroplastica, dall'altra propone testimonianze di malattie ormai debellate o curabili prima che giungano a stadi così gravi.
Trattasi di un museo da sconsigliare agli stomaci deboli, ma che vale proprio una visita, anche se lascia nei giorni futuri un senso di disagio nei confronti del prossimo.

A scopo consolatorio, anche per chi non è solito visitare simili esposizioni, riporto una citazione di Beethoven che compare in un suo ritratto ad opera di Leone Tommasi:

Chi avrà penetrato il senso della mia musica sarà liberato da tutte le miserie fra le quali si trascina il resto dell'umanità.

1 commento:

darker ha detto...

Ecco.
Capisco sempre più perchè mi piace il tuo blog (e quello di Daniuccia, sia chiaro): non ci sono foto, non ce n'è bisogno.
Grazie ad un'accurata descrizione si va oltre l'immagine e si colpisce in pieno l'immaginazione.
Pur potendo morire di paura in un posto del genere (anche se mi attira come ogni mia fobia...) è come se ci fossi stato.

Cosa, questa di descrivere, che io non risesco proprio a fare, forse perchè sono abituato (def.prof.) a rappresentare anche ciò che non si vede. Quindi o inserisco immagini o mi dilungo (c.v.d...) e ciò non mi piace.