Michelangelo alla Sistina.
I’ ho già fatto un gozzo in questo stento,
coma fa l’acqua a’ gatti(1) in Lombardia
o ver d’altro paese che si sia,
c’a forza ’l ventre appicca sotto ’l mento.
La barba al cielo, e la memoria(2) sento
in sullo scrigno(3), e ’l petto fo d’arpia(4),
e ’l pennel sopra ’l viso tuttavia
mel fa, gocciando, un ricco pavimento.
E’ lombi entrati mi son nella peccia(5),
e fo del cul per contrapeso groppa,
e ’ passi senza gli occhi muovo invano.
Dinanzi mi s’allunga la corteccia(6),
e per piegarsi adietro si ragroppa,
e tendomi com’arco sorïano.
Però fallace e strano
surge il iudizio che la mente porta,
ché mal si tra’ per cerbottana torta.
La mia pittura morta
difendi orma’, Giovanni, e ’l mio onore,
non sendo in loco bon, né io pittore(9).
Girardi, E., N., a cura di, Michelangelo Buonarroti - Rime, Bari, Laterza, 1960.
(1) Gatti può stare per 'contadini', secondo un uso antico del termine. O forse - come io credo - proprio per l'animale che, come si sa, aborre tale liquido.
(2) Qui 'memoria' vale per 'nuca', essendo la seconda il punto dove si riteneva risiedesse la prima.
(3) 'Scrigno' è da intendersi 'schiena', avendo in mente il carapace delle tortuche.
(4) Il petto delle arpie e notoriamente gonfio.
(5) 'Peccia' va letto 'pancia'.
(6) Come negli alberi, la 'corteccia' è qui la 'pelle'
(7) 'Arco di Sorìa' ovvero fabbricato in Siria.
(8) Giovanni di Benedetto da Pistoia, nel 1540, cancelliere dell'Accademia Fiorentina, col quale Michelangelo scambiava sonetti.
(9) Il divino è stato capace di tutto. Ma - come si sa - la scultura è la prima delle arti.
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