venerdì 24 giugno 2011

Questo post non è autobiografico.



I hold the world but as the world, Gratiano;
A stage where every man must play a part,
And mine a sad one.

[The Merchant of Venice, Act. I, Scene I, vv. 77-79]


Esco da me, in tutto non m'amavo un gran che

[Vinicio Capossela, Zampanò]



Può dirsi veramente educato chi osserva le regole della buona creanza anche quando nessuno lo vede. Chi, pur in solitudine, s'apparecchia, si serve e mangia così come farebbe in un pranzo da dodici persone.

Inutile, triste e fors'anche patetico lo spettacolo di chi, in mutande davanti al frigorifero, addenta e sbrana una braciola diaccia con le mani, quando in pubblico richiede la presenza di doppia forchetta, bicchiere da vino e tovaglia ricamata quali condizioni minime per sedersi a tavola.

Inutile, triste e patetico, dicevo, perché è testimonianza di una recita, di una condizione posticcia impersonata ad uso e consumo degli astanti, non corrispondente alla vera essenza della persona.

Ora, per carità, noi tutti utilizziamo registri diversi a seconda delle persone alle quali ci rivolgiamo. Di certo ci muoviamo con maggiore elasticità davanti ai nostri familiari e riserviamo invece un grado più elevato di rigore e formalismo nei rapporti con i superiori, i clienti, gli estranei. E' normale.

In quei casi 'traduciamo' noi stessi per esser più facilmente compresi dal diverso interlocutore, ma facendo attenzione a mantenere - chi più chi meno - il senso della propria personalità. Traduzione, insomma, ma pur sempre abbastanza fedele all'originale.

Ma un conto è 'tradursi' per raggiungere tali scopi ed un altro è 'travestirsi' per rappresentare quello che non si è. [Diceva il poeta: '... e mi trucco perchè la vita mia / non mi riconosca e vada via].

In età non sospetta, magari proprio durante la fragile adolescenza, uno sceglie di identificarsi con un mito così da favorire la propria accettazione nel gruppo sociale e si traveste da Fonzie, da metallaro, da giovanottino. All'inizio sembra funzionare. Perfetta schermatura del proprio vero io dal mondo circostante. Giudicato, criticato ed approvato è il personaggio che si è deciso di portare in scena, non l'attore che lo impersona.

Bello. Ganzo. Può essere emozionante l'illusione di aver ingannato gli altri, di avergli dato in pasto una simulazione ad hoc, creata apposta ad uso e consumo del pubblico pagante. E che magnifica sensazione di libertà; poter far fare al nostro alter ego quello che noi non faremmo mai. Vivere attraverso di lui le forti emozioni che il nostro fragile io avrebbe timore ad affrontare. Ritenerlo responsabile dei fallimenti, delle figuracce, delle inadeguatezze. Sembra una commedia magnifica, di quelle che non ti stanchi mai di recitare. Ma poi ...

Ma poi ... il tempo trasforma il copione in tragedia.

Inutile è lo spettacolo del quarantenne attempato che ancora si veste con la T-shirt nel vano tentativo di dimezzare la propria età anagrafica.

Triste è vedere l'attore prigioniero del proprio personaggio, ormai riconosciuto dal suo pubblico per quello che non è. Costretto a ripetere sempre le stesse battute, le stesse pose, condannato a vedere il mondo attraverso la maschera che ha deciso di indossare [un altro poeta diceva: … di pietra mi pare il cerone / s'appiccica al volto il mal del buffone].

Patetico, infine, è il rendersi conto che basterebbe poco per riprendere in mano la propria vita, per dichiararsi in tutta onestà per quello che si è, per riconoscere e farsi riconoscere dagli altri. Per sedersi in platea a vedere sul palcoscenico gli affanni altrui. Si troverebbe lo spettacolo altamente educativo. E magari, passeggiando nel foyer, ci si troverebbe un pochino migliori.

E invece no. Levarsi la maschera pare il più temibile dei salti nel buio. Si crede, come il Fantasma dell'Opera, che celare agli occhi degli altri le proprie deformità sia l'unico modo per essere accettati. Ma a quale prezzo !

Va a finire - incredibile dictu ! - che la nostra vita alla fine l'ha vissuta il pupazzo che ci si è scelti. Ben protetto dietro lo schermo che lo divide dalle umane passioni, uno s'accorge d'aver visto la propria vita scorrere in televisione. Come quei turisti - vi sarà capitato di vederli - che mentre vanno a spasso per Firenze, passano il tempo ad inquadrare i monumenti nello schermo della telecamera. Così che, con l'idea di ri-vederli dal salotto di casa, non hanno mai visto live coi loro occhi Palazzo Vecchio, il Duomo o la magnifica Orsanmichele.

Il pupazzo di comodo che dava la falsa illusione di libertà è diventato uno spietato carceriere ed il rifugio che proteggeva efficacemente dal mondo esterno è diventato il carcere dal quale è impossibile evadere. Fonzie, il metallaro, il giovanottino, si sono impadroniti dell'attore. E, sempre per citare il poeta : " … Il padrone ha la tuba allungata ed ha baffi arditi ed in fondo già sa / che restiamo alla frusta qui uguali, infelici e incapaci di esser normali / vivere vorrei stasera, vivere vorrei per me".

E' ora di basta ! Come diceva quello. Alla riscossa !

Ci sarà di che sorprendersi.

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