sabato 28 febbraio 2009

More hominum

Nel tempestoso Atlantico del mio abisso, io sempre godo di una muta calma nell'intimo e, mentre pesanti pianeti di dolore incessante mi ruotano attorno, laggiù in fondo continuo a bagnarmi in un'eterna soavità di gioia.

[Chi è in grado, oggi, di scrivere così ?]

Melville, H., Moby Dick, Adelphi, Milano, 1994.

[Cap. LXXXVII, La grande armada, pag. 414]

1 commento:

C.P. ha detto...

[...]Il mare aveva beffardamente sostenuto il suo corpo finito, ma annegato l'infinito del suo spirito. Non del tutto annegato, però. Trasportato vivo, piuttosto, a meravigliose profondità, dove forme bizzarre dell'intatto mondo primitivo gli erano sgusciate da ogni parte innanzi agli occhi passivi, e l'avara sirena, la Saggezza, gli aveva rivelato i suoi tesori ammassati, e tra le eterne e gaie realtà, prive di cuore e sempre giovani, Pip aveva veduto gli infiniti, onnipresenti insetti del corallo che su dal cielo delle acque innalzavano le sfere colossali. Aveva veduto il piede di Dio sopra la calcola del telaio e ne parlava: per questo i compagni lo chiamavano pazzo. Così la demenza dell'uomo è la sanità del cielo, e , allontanandosi da ogni ragione mortale, l'uomo giunge finalmente a quel pensiero celeste che per la ragione è assurdità e delirio; e bene o male, egli si sente risoluto e indifferente come il suo Dio.[...]