[l'intelletto] ... è concesso - unicamente come aiuto - agli esseri più sfortunati, più delicati e più transitori allo scopo di trattenerli per un minuto nell'esistenza, onde essi altrimenti, senza quell'aggiunta, avrebbero motivo di andarsene [...]
L'intelletto, come mezzo per conservare l'individuo, spiega le sue forze principali nella finzione. Questa infatti è il mezzo con cui gli individui più deboli e meno robusti si conservano, in quanto a essi è preclusa una lotta per l'esistenza da condursi con le corna o con gli aspri morsi degli animali feroci. Nell'uomo quest'arte della finzione raggiunge il suo culmine: qui l'illudere, l'adulare, il mentire e l'ingannare, il parlar male di qualcuno in sua assenza, il rappresentare, il vivere in uno splendore preso a prestito, il mascherarsi, le convenzioni che nascondono, il far la commedia dinanzi agli altri e a se stessi, in breve il continuo svolazzare attorno alla fiamma della vanità costituisce a tal punto la regola e la legge, che nulla, si può dire, è più incomprensibile del fatto che fra gli uomini possa sorgere un impulso onesto e puro verso la verità. Essi sono profondamente immersi in illusioni e immagini di sogno, il loro occhio scivola sulla superficie delle cose, vedendo "forme", la loro sensibilità non conduce mai alla verità, ma si accontenta di ricevere stimoli e, per così dire, di accarezzare con un giuoco tattile il dorso delle cose.
Nietsche, F., Su verità e menzogna in senso extramorale, tr. it. di Colli, G., Milano, Adelphi, 2015.