- “Dai babbo, che bello, gli zii ci hanno invitato in barca per Pasqua !”
- “Vacci te.”
- “Ma come vacci te ? Non sei contento ?”
- “Macchè contento ! Ti pare ? Con questo tempo, con questo freddo, con questo mare ! Ed i bimbi ? Chi li guarda ? E la mi’ mamma ? Ma possibile che te ne venga in mente sempre una ?”
- “Sai che ? Io ci vado da sola !”
- “No eh, da sola ? Allora vengo anch’io”.
Questi gli scampoli di una conversazione che avreste potuto origliare se foste venuti a casa nostra lunedì 29 marzo (verso sera). Tornavo da un lungo fine settimana elettorale, dopo un viaggio in macchina da Forte dei Marmi durante il quale m’ero quasi addormentato, verso una destinazione che in quel momento malcelava più di una tensione. L’idea di partire in barca - a me, marinaio di sabbia - era non solo remota, ma quasi ostile. Trovavo ogni ostacolo, sollevavo ogni obiezione, instillavo ogni dubbio.
Ma come al sòlito ecco venire in soccorso mia moglie, con la sua pazienza, i suoi artifizi, i suoi musi. Entrando piano piano in costa e poi allargandosi mi ha convinto, e - dopo aver detto a tutti che partivo malvolentieri - mi sono fatto persuadere alla partenza.
E che errore avrei fatto a starmene a casa !
Pur nell’incerta temperatura di questa precoce primavera i 14 metri di Trilly ci accolgono con scintillante benevolenza per questo che è il primo viaggio della stagione.
Paolo, lo skipper, inizia sin da subito a darsi da fare e noi cominciamo a sistemare la spesa, dividerci le cabine, fare i letti. L’atmosfera, la novità, il placido rollìo ... tutto concorre - assieme alla vicinanza forzata dagli spazi ridotti - a creare quella sensazione di calda serenità che invita alla confidenza e stimola la più genuina fratellanza.
“In barca tutto si condivide” dichiara con voce stentorea la capitana, e mai affermazione fu più vera. Sottocopoerta si sente ogni rumore, dal fragoroso russare notturno ad ogni sciacquone tirato nel piccolo ma confortevolissimo bagno. Ciò che sarebbe intollerabile in un appartamento, a bordo diventa -
au contraire - del tutto accettabile ed anzi persino divertente.
Per non tacere poi dello spettacolo offerto dalla natura. Sembrerà banale (ed anzi forse lo è), ma si rimane ancora affascinati dal blu del mare, dal celeste del cielo, dal verde delle coste. E si impara - proprio noi che ci dichiariamo toscanissimi - a riconoscere i profili di Pianosa, di Capraia, della Montecristo di Dumas.
David al timone insiste per una andatura sostenuta, almeno 7 nodi, e si diverte a fare a braccio di ferro col mare per tenere la barca inclinata. Flavia, rimpallata in un caffettano verde, si imbacucca con una
kefiah ed affronta con navigata sicurtà ogni beccheggìo. Penelope sorride sempre nella sua beata gioventù e scatta compromettenti fotografie che finiranno su Facebook per la gioia di adolescenti dalla pelle atopica. Lucilla adorata, serena e felice, si gode la meritata distrazione dalla quotidianità, pur nella tensione del cordone ombelicale che rimane sempre con un capo a Firenze. Io, per mio conto, ostento
savuarfèr e mi compiaccio di non soffrire di mal di mare.
Le fortificazioni medicee di Portoferraio, volute da Cosimo I già nella prima metà del cinquecento, ci accolgono con tutto il loro maschio turgore, e la sorte ci riserva un posto barca davanti alla porta della città; proprio quella porta che già vide passare sotto di sè imperatori, principi e granduchi.
Così, tra l’acquisto di un
souvenir, un aperitivo e qualche etto di cioccolata, passa in estrema piacevolezza il triduo pasquale.
Ma dato che
all good things must come to an end, il lunedì mattina - dopo una visita a quel che rimane delle vestigia napoleoniche - facciamo rotta per Salivoli.
Mare forza quattro - come il gioco tanto caro ai bambini - con lo scafo che resiste fiero ai picchi d’onda, qualche cazzatura di randa ed un vento di bolina che ci spinge a quasi 10 nodi, si veleggia verso il travaglio usato. Con la Pepe che promette di non mangiarsi più le unghie (alleccorita da un viaggio premio a New York), Flavia che indòmita dal mare si fa un sonnellino sottocoperta e qualche tazzina da caffè che si ostina ad obbedire alla forza di gravità ci avviciniamo alla terraferma.
VHF 9 : “Trilly a porto di Salivoli. Chiediamo assistenza per l’ormeggio, passo.”
“Ricevuto Trilly, posto numero 47, chiudo”.
Ed io, stupido, che non volevo venire.