Firenze, 5 ottobre 1966.
Oggi, cinque ottobre, ho traslocato in casa di un amico del babbo. Lui dice di essere conte, ma invece sta in un seminterrato alla giapponese, tutto diaccio e umido, senza telefono, senz'acqua calda, col cesso coi piedoni e un fornelletto dove la moglie ci ha cucinato una frittatina di due uova, che abbiamo mangiato in tre, più un riforzino, come lo chiama lui, di nove olive di numero, mezz'etto di stracchino e un quarto di vino sfuso. Tutto, vitto e alloggio, per centocinquantamila lire, che mi pare proprio una rapina, anche se lui, per fare il conte, chiama castello un aggeggio di tre loculi dove mi toccherà dormire assieme alla moglie, una donnetta secca e rifinita come il suo nome: Alice. E la figlia Mela che per fortuna non dà noia, perché è un'handicappata incapace di parlare e camminare alla sua età. Io dico che codesto conte o è un gran bugiardo o s'è ridotto proprio come un disperato.
Luciano Perozzi